domenica 31 dicembre 2017
I DOMENICA DI NATALE “Festa della Santa famiglia di Nazareth” (Anno B)
lunedì 25 dicembre 2017
SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE (ANNO B)
domenica 24 dicembre 2017
IV DOMENICA DI AVVENTO (Anno B)
sabato 16 dicembre 2017
III DOMENICA DI AVVENTO (Anno B)
sabato 9 dicembre 2017
II DOMENICA DI AVVENTO (Anno B)
sabato 2 dicembre 2017
I DOMENICA DI AVVENTO (Anno B)
sabato 25 novembre 2017
XXXIV DOMENICA T.O. (Anno A)
XXXIV DOMENICA T.O. (Anno A)
Solennità di Cristo Re dell’Universo
«In verità io vi dico: tutto quello che avete fato a uno dei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».
Carissimi amici,
la Solennità di questa domenica conclude l’anno liturgico e la Chiesa ci fa riflettere sul giudizio universale, raccontato nel capitolo 25 di Matteo.
È un testo molto bello, ricco e coinvolgente, dai tratti apocalittici, dove si parla del ritorno glorioso e del giudizio ultimo di Dio.
La Tradizione della Chiesa, insieme alle beatitudini, considera questo brano del Vangelo, la «magna carta» del cristiano, tanto da estrapolare le note opere di Misericordia, che il Papa ci ha fatto riscoprire lo scorso anno durante il Giubileo della Misericordia. Queste opere di Misericordia, non sono altro che la forma più alta della Carità, dell’amore dei fratelli, soprattutto di coloro che sono nel bisogno sia fisico e sia spirituale o morale.
Quest’oggi vi propongo una riflessione che va oltre le già note opere di Misericordia. Domenica scorsa, ho spiegato che i talenti sono doni che il Signore ci ha dato e che noi siamo chiamati ad investire. In quella spiegazione mi ero soffermato molto sull’aspetto sociale dell’investimento dei talenti. Oggi proviamo a sostituire, o meglio, ad aggiungere i nostri talenti, alle opere di Misericordia, e vedremo come i nostri talenti sono il «pass» per il Paradiso.
Faccio qualche esempio, in modo da essere più chiaro. Se il Signore mi ha donato il talento della musica, io suono non solo per diventare famoso e prendere gli applausi degli altri, ma perché, attraverso la musica, gli altri facciano esperienza di Dio. Così come l’arte, la cultura, l’artigianato, ecc. Personalmente mi hanno impressionato due chiese in Molise, dove davvero l’arte e l’architettura sono capaci di parlarti di Dio. La prima è la chiesa di San Giorgio a Petrella Tifernina (Cb) del X-XI sec. È una catechesi vivente. L’intera storia della Salvezza rappresentata attraverso dei simboli e delle immagini molto belle. La seconda è la chiesa di Santa Maria degli Angeli a Termoli (Cb) del XX sec. in questa chiesa, ogni singolo luogo (il presbiterio, l’ambone, il fonte battesimale, il crocifisso, il tabernacolo, ecc) fa percepire la presenza di Dio per la ricchezza dei simboli. Questo per dire che chi ha realizzato tutto ciò, aveva in mente di far fare esperienza di Dio.
La differenza tra il volontariato «laico» e quello cristiano, non è l’azione, ma il fine. Per chi lo faccio? Gesù ci da la risposta! Se viviamo i nostri talenti nel suo nome, allora prenderemo posto tra i beati nel Paradiso. In caso contrario, sappiamo cosa accadrà!
Chiediamo al Signore di aiutarci a vivere i nostri talenti nel suo nome, di riconoscere negli altri la sua viva presenza.
“Signore, grazie perché mi hai aiutato a capire che non basta solo fare le opere di Misericordia, ma che c’è bisogno di vivere tutte le qualità che mi hai donato, nel tuo nome per il bene mio e degli altri. Perdonami se a volte mi sono lasciato prendere dall’orgoglio e non ho agito secondo la carità cristiana. Aiutami a vivere nella carità e nella gratuità, ricordando che tutto ciò che faccio agli altri, lo faccio a Te. Amen!
Buon cammino!
sabato 18 novembre 2017
XXXIII DOMENICA T.O. (Anno A)
XXXIII DOMENICA T.O. (Anno A)
«Bene, servo buono e fedele – gli disse il padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone».
Carissimi amici,
domenica scorsa, Gesù ci ha esortato alla vigilanza, a pensare al futuro vivendo il presente. Oggi ci invita a mettere a frutto, a investire i nostri talenti. Al tempo di Gesù, i talenti erano soldi, oggi i talenti sono le qualità, le abilità che ognuno di noi possiede.
Il Signore, a ognuno di noi ha dato dei talenti. C’è chi ha il talento per la musica, chi per la pittura, chi per lo studio, chi per lo sport, chi per l’artigianato, ecc.
La domanda fondamentale è: «io investo i miei talenti che il Signore mi ha donato?». Dal punto di vista spirituale è importante porsi questa domanda, perché il Vangelo di oggi è l’anticipo del testo che mediteremo domenica prossima, ovvero le opere di Misericordia.
In una comunità cristiana, è fondamentale mettersi in gioco, non solo per se stessi, ma soprattutto per gli altri. Se prendiamo i vari talenti che ho citato, vissuti in una comunità parrocchiale, ci permetteranno di far crescere la comunità, perché ci sarà chi suona, chi dipinge, chi studia la teologia o la storia della propria comunità, chi aiuta i giovani in attività di sport nell’oratorio, chi sistemerà le attrezzature della parrocchia, ecc. Ma questo poi vissuto non solo nella parrocchia, ma anche nella società.
Il Papa, nel discorso di apertura della GMG di Cracovia, ha parlato di giovani di 25 anni, che vivono da pensionati sul divano, stanchi. Che immagine triste! Purtroppo, rispecchia una realtà che esiste. Quanti giovani passano le loro giornate davanti ai bar o davanti le slot machine, oppure chiusi in casa con i videogiochi. Alla domanda: «Cosa vuoi fare?» c’è sempre la risposta: «eh, ma non c’è lavoro, meglio rimanere in casa!». È vero, il lavoro dipendente è difficile trovarlo in questo periodo, ma il lavoro indipendente è sempre disponibile! Tutti, e dico tutti, abbiamo dei talenti e delle qualità. Mettiamole a frutto, investiamo su questi talenti che abbiamo. Usciamo dalla mentalità di essere sotto qualcuno per poter far qualcosa. Questi talenti, vissuti con spirito cristiano, saranno il nostro «pass» per il Regno dei Cieli, e lo vedremo domenica prossima. Le opere di Misericordia, non sono solo quelle che Matteo scrive nel suo Vangelo, ma sono tutti i nostri talenti.
Il Signore mi ha donato il talento della musica. Non ho avuto la possibilità di frequentare il conservatorio, ma non mi sono arreso! Con pazienza e tenacia, ho imparato a suonare e sono felice di animare le celebrazioni in Parrocchia, ma non solo! Mi sento felice anche quando suono da solo, perché è un dono che il Signore mi ha dato e io lo ringrazio così, mettendo a frutto questo talento.
Vi lascio con queste domande di riflessione:
• Quali sono i tuoi talenti?
• Come li hai investiti?
Il passaggio successivo, domenica prossima!
“Signore, ti ringrazio per avermi donato dei talenti. Aiutami a riconoscerli e a investirli, soprattutto nella carità. Perdonami per quelle volte che mi sono tirato indietro, pensando a me stesso e non agli altri che in quel momento avevano bisogno del talento che Tu mi hai donato. Aiutami ad essere ogni giorno strumento del Tuo Amore, proprio attraverso i talenti che mi hai donato, non per mio orgoglio, ma per la Tua Gloria. Amen!”
Buon cammino!
sabato 11 novembre 2017
XXXII DOMENICA T.O. (Anno A)
XXXII DOMENICA T.O. (Anno A)
“Vegliate perché non sapete ne’ il giorno ne’ l’ora”
Carissimi amici,
l’anno liturgico si avvia alla conclusione e il Vangelo ci richiama alla vigilanza, perché il Signore potrebbe arrivare in qualsiasi momento.
Il Vangelo di questa domenica, ci parla di dieci vergini che attendono lo sposo. Prevedendo che si sarebbe fatto tardi, cinque di esse fecero la scorta di olio per le lampade, le altre, invece, non si preoccuparono.
Anche nelle società attuale, ci sono persone che pensano al futuro e persone che si preoccupano solo del momento presente.
Io, caratterialmente, sono un po’ a metà, perché mi preoccupo del futuro, ma non vivo il presente. Come a dire che ho preso l’olio, ma tengo spente le lampade.
Questo e’ il rischio che corriamo tutti! Molte volte programmiamo tante cose, ma non riusciamo a gustare le cose che ci capitano ogni giorno.
La speranza e’ la risposta che le vergini sagge danno alle stolte: “perché non venga a mancare a noi e a voi”. Potrebbe sembrare una mancanza di carità e solidarietà, ma le vergini sagge hanno capito che l’olio non e’ solo per il futuro, ma anche per il presente e non può essere sciupato. Questo significa che dobbiamo imparare a vivere il presente orientati al futuro. Vivere ogni giorno non come fosse l’ultimo, ma in attesa dell’ultimo. Con il mio presente costruisco il futuro.
Alimentiamo giorno dopo giorno, la lampada della fede, che e’ il cuore, affinché’ il Signore possa trovare in noi una dimora sempre illuminata e calda d’amore.
“Signore, tante volte ti ho fatto trovare il mio cuore spento e freddo, lasciano che si illuminasse di più l’orgoglio invece dell’umiltà. Aiutami, Signore, a riaccendere il mio cuore e a custodirlo fino al tuo ritorno. Proteggimi dal vento della mondanità che vuole spegnere il mio amore per te. Fa’ che ogni giorno possa lodarti e ringraziarti per tutto ciò che fai per me. Amen!”
Buon cammino a tutti.
mercoledì 1 novembre 2017
SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI
sabato 7 ottobre 2017
XXVII DOMENICA T.O. (Anno A)
XXVII DOMENICA T.O. (Anno A)
«la pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo».
Carissimi amici,
il Vangelo di oggi ci fa riflettere su due cose. La prima è la parabola raccontata da Gesù, che sembra anticipare ciò che gli accadrà, ovvero la Passione. La seconda riflessione è più intensa e profonda.
Gesù si rivolge ai capi dei sacerdoti, quelli che sono gli attuali vescovi, o comunque a un gruppo di persone che appartengono alla Chiesa. La vigna del Signore è affidata a loro, ma succede che queste persone, predicano bene e razzolano male, come dice il proverbio. Pensano solo al proprio interesse, difendendo e rivendicando la loro categoria, a discapito degli altri. Per loro nessuno può accedere a questa vigna, perché indegni. Infatti, chiunque si avvicina, trova la violenza e la morte. Per dirla in termini moderni, trovano la scomunica! Questa arroganza di essere dalla parte del giusto è talmente grande da umiliare addirittura il Signore stesso (qualsiasi cosa avete fatto ad uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Cf Mt25).
Non pensiamo che siccome siamo cristiani cattolici romani, osservanti di tutti i precetti della Chiesa, abbiamo il diritto di escludere e umiliare gli altri che hanno difficoltà a vivere tutti i precetti della Chiesa. A chi ha questa presunzione, Gesù gli toglie la vigna. Il Vangelo lo dice chiaramente, perché le persone che noi scartiamo, sono considerate grandi nel regno di Dio. E pietre scartate, oggi ne sono tante. Basta pensare ai carcerati che vivono situazioni di indigenza nelle carceri, ai disabili che spesso rimango ai margini della società (e a volte anche della Chiesa), alle famiglie ferite, ecc. In poche parole, la Chiesa di Gesù Cristo non è un circolo privato riservato a pochi “eletti”, ma è di tutti coloro che cercano il Signore.
Infondo Gesù ci vuole dire che la Chiesa non ha bisogno di bigotti o persone perfette in tutto, ma di tutti noi poveri peccatori, che purificati e messi insieme, realizziamo la Chiesa di Gesù Cristo. Mentre la società ci scarta, Gesù ci raccoglie.
Questo è il grande messaggio di oggi. Nessuno andrà perduto se ci si lascia raccogliere dal Signore.
“Signore, allontana da me la tentazione di considerare me stesso perfetto, mentre gli altri sono inferiori a me. Domani la grazia e la forza di saper accogliere tutte le persone scartate dalla società e considerarle parte della mia vita. Amen!”
Buon cammino!
domenica 1 ottobre 2017
XXVI DOMENICA T.O. (Anno A)
XXVI DOMENICA T.O. (Anno A)
«in verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel regno di Dio».
Carissimi amici,
il Vangelo di oggi ci offre principalmente due spunti di riflessione, il primo sulla virtù dell’obbedienza e il secondo sulla salvezza.
Nella parabola raccontata da Gesù, c’è un uomo che chiede ai figli di andare a lavorare nella vigna. Il primo dice di no, ma poi va. Il secondo fa tutto il contrario. Apparentemente, nel nostro modo di pensare, il primo figlio è stato disobbediente ed ha sbagliato, mentre il secondo è più bravo perché ha rispettato il padre dicendo subito di si. Ma nella realtà non è così! L’obbedienza non si misura nel avere risposte positive a tutto ciò che viene chiesto, ma nella concretezza del risultato finale. E il primo figlio, che inizialmente si era opposto, alla fine fa ciò che gli aveva detto il padre. Il secondo, che penava di essere furbo, dice di si al padre, un bel si convinto, ma poi pensa ai fatti suoi.
Come ho detto all’inizio, la prima riflessione è sull’obbedienza. Questa parabola ci insegna che l’obbedienza ceca e immediata, senza riflessione, è negativa. Mentre quella ragionata è veritiera. Io di questo ne faccio esperienza, perché solo riflettendo sulle situazioni, sono in grado di farle. Io ho obbedito alla chiamata di Dio, ma non subito, ho voluto capire bene ciò che Lui mi chiedeva, ho dovuto capire innanzitutto me stesso. E così per ogni cosa. Attenzione a coloro che vi obbligano a fare delle cose o delle scelte, spacciandole per volontà di Dio! Accogliete ciò che vi viene detto, ma prima di dare una risposta, pensateci bene. Abbiate sempre il coraggio di prendere le situazioni in mano, di valutarle con una persona di fiducia. È nell’ascolto e nella condivisione che si possono dare risposte sagge. Anche Gesù, prima di scegliere gli Apostoli, ci ha pensato bene. Ha pregato per una notte intera, come ci dicono i Vangeli. Gesù, che è Dio si è preso del tempo, noi dobbiamo subito dire di si a tutto?
La seconda riflessione è sulla salvezza. Per essere salvati non occorrono persone che dicono di si a tutte le cose offerte dalla Chiesa: Messe, novene, processioni, rosari, ecc. ma persone che, dopo aver sbagliato, chiedono sinceramente perdono a Dio. Un mio compagno di seminario, l’altra sera mi ha fatto riflettere su una cosa molto bella. Mercurio è il pianeta più vicino al sole, in teoria dovrebbe essere il pianeta più caldo, ma in realtà non è così! Metà è freddo, metà è caldo. Capite bene che la parte calda è quella illuminata dal sole, la parte non illuminata è fredda. Così siamo anche noi! Molto spesso diciamo di si, di essere vicini al sole (Dio), ma poi in realtà siamo freddi. Per riscaldarci dobbiamo convertirci, cioè cambiare direzione.
In sintesi possiamo dire che la salvezza si ottiene solo se ci lasciamo guidare dalla grazia di Dio, che ci suggerisce ciò che dobbiamo fare. Non nella fretta estetica per sembrare brave persone, ma nel discernimento e nella preghiera.
Chiediamo al Signore di mandarci lo Spirito Santo per fare discernimento nella nostra vita.
“Signore, illumina la mia mente e il mio cuore. Aiutami a saper fare scelte coraggiose non da sprovveduto, ma da persona saggia. Allontana da me la tentazione di fare scelte affrettate pur di salvare l’esteriorità o per ottenere dei favori da chi mi chiede qualcosa. Perdonami per quelle volte che invece ho agito da sprovveduto. Amen!”
Buon cammino!
domenica 17 settembre 2017
XXIV DOMENICA T.O. (Anno A)
XXIV DOMENICA T.O. (Anno A)
«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?»
Carissimi amici,
la domanda di Pietro è molto interessante, perché è la domanda che ognuno di noi vorrebbe fare a Gesù. Quante volte bisogna perdonare? Pietro cerca di quantificare la misericordia e il perdono dicendo che bisogna perdonare 7 volte, ma Gesù gli risponde, quasi ironicamente, che non si deve perdonare 7 volte, ma 70 volte 7, quindi 490 volte. È poi? La 491a sono autorizzato a non perdonare? Questa è una mentalità farisaica e legalista, perché la Misericordia e il perdono non hanno valore quantitativo, ma bensì qualitativo. Io posso anche perdonare 490 volte, ma come? In che modo? Sicuramente pensando che prima o poi arriverà la 491a volta e mandarlo via oppure vendicarmi del torto subìto.
La parabola che racconta successivamente Gesù, sembra smentire questo dialogo tra Lui e Pietro, perché nel racconto c’è un Re che voleva regolare i conti con i suoi debitori, ma uno di questi, non avendo la somma richiesta, chiese perdono e tempo per trovare la somma da restituire. Il Re acconsentì e lo lasciò libero. Quest’uomo, però, a sua volta, aveva anche lui dei debitori e anche a lui si presento un uomo che si trovava nelle stesse condizioni di non poter restituire e similmente gli chiese perdono, ma lui non volle ascoltare e lo fece mettere in prigione. Il Re, saputo ciò, richiamò il suo debitore e fece incarcerare anche lui.
È il perdono? In questa storia entrambi i debitori finiscono male! Nemmeno 7 volte hanno sbagliato, e il Re subito si è vendicato.
Attenzione ad un particolare. Prima di condannare, il Re dice una cosa molto importante: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». Ecco, questa è la sintesi perfetta di tutto il Vangelo di oggi. Il perdono non è quesitone di numeri, ma di cuore!
Come vedete, la Misericordia non è buonismo, non è dire: «va beh! Fai ciò che vuoi, tanto ti voglio bene lo stesso», questo è anti educativo al massimo! Ma è qualcosa di più grande e profondo. Se io chiedo scusa delle mie colpe, il Signore mi accoglie e mi esalta. E siccome sono suo figlio, anche io sono chiamato a fare la stessa cosa. Se Dio ha misericordia di me, sempre se gli chiedo scusa, (non dimenticate la questione della libertà di domenica scorsa), non devo, anche io, aver Misericordia di chi mi fa un torto e mi chiede scusa? Però le scuse devono essere sincere, che vengono dal cuore, altrimenti tutto diventa una barzelletta, una recita di cattivo gusto. Cioè, io devo dimostrare concretamente e sinceramente che ho sbagliato e che mi impegno nel non fare un nuovo torto. Certo, siamo esseri umani, siamo fragili, ma abbiamo un’intelligenza da sfruttare a pieno e non a mezzo servizio. Questa intelligenza, ci può aiutare a vivere meglio tra di noi e con Dio.
Come sintesi possiamo dire che la Misericordia di Dio (e anche nostra) è infinita davanti a un cuore pentito e che ama e che chiede di essere amato.
“Signore, grazie perché mi hai fatto comprendere come la Misericordia e il perdono sono delle grandi opportunità di crescita umana e spirituale. Grazie perché mi hai insegnato che come Tu perdoni me, anche io devo perdonare gli altri. Grazie perché nonostante i miei continui peccati, sei sempre lì pronto ad accogliermi ed abbracciarmi. Amen!”
Buon cammino!
domenica 10 settembre 2017
XXIII DOMENICA T.O. (Anno A)
XXIII DOMENICA T.O. (Anno A)
«tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo».
Carissimi amici,
il Vangelo di questa domenica lo possiamo dividere in tre parti: la correzione fraterna, il ministero della riconciliazione e la preghiera comunitaria.
Queste tre parti le possiamo riunire sotto l’unico concetto di libertà, e vediamo insieme come.
La prima parte ci parla della correzione fraterna, come abbiamo detto, ma notiamo un particolare. Gesù non costringe l’altro ad accettare il proprio errore. Cerca di farglielo capire in più modi: da solo, con due o tre testimoni, con la comunità. Ma poi lo lascia libero e invita gli altri a rispettare questa libertà. Per molti questo concetto è difficile da accettare. Noi crediamo nella libertà solo nel bene, ma in realtà noi siamo liberi sia nel bene e sia nel male. Siamo liberi di fare il bene e siamo liberi di fare il male. Orientare le nostre scelte verso l’uno o l’altro, dipende dalla nostra capacità di discernimento, dalla capacità di utilizzare l’intelligenza (inter-ligere, leggere dentro).
Nella seconda parte, possiamo dire che Dio si adegua alla nostra libertà. Se noi decidiamo di perdonare Lui perdona e viceversa. È un concetto assurdo, difficile da comprendere, ma è così. La motivazione è pedagogica, perché la salvezza avviene solo se ci amiamo davvero gli uni gli altri, solo se saremo capaci di perdonarci, così come diciamo nel Padre nostro: «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori», come a dire: «Gesù, fai come facciamo noi».
Queste due parti ci fanno riflettere su come agisce Dio con noi. il Dio in cui crediamo è il Dio della libertà. Tante volte lo ricorda anche il Papa quando dice che il cristianesimo si diffonde per attrazione e non per imposizione. Tutto ciò mi ha fatto riflettere su una cosa. Se Dio ci lascia liberi, chi sono io per costringere l’altro a credere nella mia verità? Il mio compito è solo annunciare e testimoniare la verità, ma la scelta ultima non spetta a me!
Il Signore non imprigiona i suoi figli. Diciamo sempre che il Signore ha le porte aperte, ed è vero! Però capite bene che quando le porte sono sempre aperte si può sia entrare e sia uscire. Nella casa del Signore c’è la regola dell’Amore, se io l’accetto e la vivo rimango in casa, se io la rifiuto vado fuori. La parabola del padre misericordioso spiega molto bene questo concetto della libertà. Ogni personaggio agisce liberamente senza costrizioni.
Quest’ultimo concetto apre la terza parte. Noi molto spesso ci lamentiamo delle chiese sempre più vuote. Come abbiamo visto, costringere non serve a nulla, anzi peggiora la situazione. Una chiesa che impone e obbliga, non è la Chiesa di Cristo! Come fare? Innanzitutto non disperare, Gesù oggi ci dà un messaggio di grande speranza: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Questo significa che non conta il numero, ma il cuore. E se due o tre persone sono costanti nell’amore e nella preghiera, prima o poi diventeranno quattro o sei, successivamente otto o dodici e così via.
È la libertà che ci permette di gustare a pieno l’Amore di Dio. Molti missionari dicono che nelle comunità dove non conoscono la fede cristiana, molti aderiscono proprio perché vedono in quei missionari non degli impositori di una dottrina, ma dei testimoni del Vangelo, soprattutto della carità.
Chiediamo con forza al Signore di comprendere questo concetto di libertà.
“Signore, allontana da me la tentazione di costringere gli altri a seguirti. Insegnami piuttosto ad essere Tuo testimone e essere di esempio ai miei fratelli, ricordando che un solo gesto vale più di mille parole. Insegnami a perdonare e soprattutto a farmi perdonare. Donami l’umiltà di saper chiedere scusa de miei errori, per poter tornare a vivere nella pace e nell’amore. Amen!”
Buon cammino!
domenica 3 settembre 2017
XXII DOMENICA T.O. (Anno A)
XXII DOMENICA T.O. (Anno A)
«Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproveralo»
Carissimi amici,
come anticipato domenica scorsa, Pietro smentisce subito ciò che aveva professato!
Facciamo un piccolo passo indietro. Gesù chiede ai discepoli chi fosse Lui, e Pietro gli dice che Lui è il Cristo, il Figlio di Dio. Gesù è lusingato dalla risposta, ma smonta subito l’orgoglio di Pietro dicendogli che ciò che ha detto non proviene da lui, ma da Dio.
Infatti, quando Gesù gli prospetta che, prima di risorgere deve morire, ecco che Pietro si scandalizza e rimprovera Gesù. Non è la prima volta che succede questo. Succede sul Tabor, ma soprattutto nell’orto degli ulivi, quando Pietro dice di voler seguire Gesù in prigione e anche alla morte, ma basta un piccolo gruppo di soldati per far fuggire Pietro e gli altri discepoli, o ancora più grave è il rinnegamento che Pietro fa nel cortile del palazzo reale.
La domanda che viene fuori è questa: Ma Pietro ha fede oppure no?
La fede, come detto tante altre volte, è strettamente legata alla fiducia. La fiducia è qualcosa di molto sensibile, e a volte basta un dubbio, un sospetto, per metterla in crisi. La fiducia non è qualcosa di statico, ma dinamico. La fiducia va vissuta, curata, alimentata, ma soprattutto va dosata, cioè va data un po' per volta, altrimenti si rischia di fare come Pietro, che parte spedito e poi si ritrova fermo a terra.
Un fattore importante che mette a repentaglio la fiducia, quindi la fede, è l’emozionalità del momento vissuto. Pietro era così sicuro di sé, di ciò che aveva detto, tanto da rimproverare il Cristo, il Figlio di Dio.
Nella vita di fede, l’apparenza conta poco. È utile ma non indispensabile. Il perno, la colonna portante della fede è Cristo, il Risorto. Tutto il resto fa solo da cornice!
Ma quando diciamo che il centro della nostra fede è Cristo, dobbiamo mettere in conto non solo la Risurrezione di Cristo, ma anche la Passione. Infatti, se Gesù non moriva, non poteva risorgere! E Gesù oggi lo dice chiaramente. Se vogliamo seguirlo, dobbiamo farlo in tutto, anche sulla Croce. Ma attenzione! Prendere la Croce non significa soltanto caricarsi di un pezzo di legno e farsi uccidere. Gesù, prendendo la Croce, si è fatto carico dell’intera umanità, soprattutto di quella sofferente. Così anche noi siamo chiamati a farci carico degli altri, soprattutto dei più bisognosi. La via della Croce non è soltanto la via della morte, ma è la via della carità, dell’amore. Solo chi si fa carico degli altri, rinnegando sé stessi, cioè mettendo da parte l’egoismo, sarà capace di vivere non solo le gioie, ma anche le difficoltà, nella fede, nella fiducia in Cristo.
Nella mia vita, e soprattutto durante il percorso di formazione verso il sacerdozio, ho potuto sperimentare molte volte che se nel cuore non hai Cristo, tutto finisce e basta qualche difficoltà a far crollare tutto. Come fare, allora, davanti alle difficoltà? Innanzitutto non fermarsi a piangersi addosso, ma aprire la mente e il cuore per cercare una soluzione. Poi è fondamentale la preghiera, non una recita di formule già preparate, ma un dialogo aperto con Dio, dove gli vogliamo davvero affidare tutta la nostra vita, le gioie e i dolori, le attese e le speranze. E poi la ricerca dell’essenziale, del vero bene, cosa davvero è necessario alla mia vita.
Questo cammino costante, a piccoli passi, ci porterà a maturare la nostra fede. Porto l’esempio degli sportivi. Un calciatore, al esempio, se vuole rendere in campo e far vincere la squadra, deve fare un allenamento costante e serio e deve adottare un certo stile di vita. Non può accontentarsi di una sola partita vinta e poi rilassarsi. Così è anche la vita nella fede. Non basta un’esperienza mistica o di un’apparizione per dire: «ah, sto apposto così! Il Signore mi ama», ma ci vuole ben altro!
“Signore, ti affido tutto me stesso. Aiutami a crescere nella fede e donami la capacità di saper farmi carico delle sofferenze degli altri, come gli altri si sono caricati delle mie sofferenze, dei miei limiti. Grazie, perché ogni giorno sei con me e non mi abbandoni mai. Amen!”
Buon cammino.
domenica 27 agosto 2017
XXI DOMENICA T.O. (Anno A)
XXI DOMENICA T.O. (Anno A)
«Tu sei il Cristo»
Carissimi amici,
il Vangelo di questa domenica, ci presenta la grande professione di fede dell’Apostolo Pietro. Tutto inizia con una domanda di Gesù: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» una domanda rivolta a ciascuno di noi, che potremmo attualizzare così: «Per coloro che sono in strada, al lavoro, a scuola, nei bar, ecc. chi è Gesù?». Le risposte che danno i discepoli sono varie, così come le daremmo anche noi. Però poi Gesù entra in dettaglio e chiede: «ma voi, chi dite che io sia?». E qui Piero si fa portavoce del piccolo gruppo e dice: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Quest’ultima domanda è rivolta a noi personalmente. A Gesù non importa cosa pensa la gente di Lui, a Gesù interessa cosa penso io di Lui, cosa Gesù rappresenta nella mia vita.
La risposta che dà Pietro è vera, ma lui non conosce il suo vero significato, infatti all’annuncio della Passione e della Risurrezione, Pietro rimprovera Gesù. Ecco perché Gesù subito lo fa scendere dalla colonna di gloria che si era creato dopo questa grande professione di fede, e gli dice: «Beato sei tu, Simone, […] perché né carne e né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». Come a dire che non è l’intelligenza o la conoscenza umana a far comprendere certe cose, ma è un dono che proviene dall’alto, solo un cuore innamorato ed un animo aperto sono capaci di accogliere tali rivelazioni. Così come ci dice oggi San Paolo nella lettera ai Romani: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi ha mai conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto di riceverne il contraccambio? Poiché da Lui, per mezzo di Lui e per Lui sono tutte le cose».
Per capire questo concetto, di come Dio si comunica a noi, possiamo utilizzare l’immagine della fonte e della bottiglia. Dio è la fonte dalla quale fuoriesce tutto il suo Amore, noi siamo le bottiglie. Ma per riempirle, è necessario togliere il tappo, cioè tutto ciò che non permette all’Amore di Dio di entrare in noi. Se ci lasciamo riempire del Suo Amore, saremo capaci anche di donarlo a chi è assetato di questo Amore. L’uomo è colui che accoglie e dona. Nessuna di queste due realtà deve mancare. Certo qualcuno può anche dire: «ma se non ricevo, cosa posso donare?» Noi, nei confronti dell’Amore e della Misericordia siamo molto debitori, perché Dio ne dona in quantità illimitate, e se Dio, nonostante tutto, continua a fidarsi di noi, a darci nuove possibilità, chi siamo noi per chiudere le porte all’altro? C’è una cosa molto bella che ho compreso in queste ultime settimane e voglio condividerla con voi. Nella vita non bisogna mai chiudere le porte del proprio cuore, perché in gioco non ci sono solo i miei sentimenti, ma c’è la libertà dell’altro. Dio non chiude mai le porte, stanno sempre aperte, sta a noi decidere se entrare nel suo Amore, o uscirne e rimanerne fuori. E se è vero che Gesù ci chiede di fare come Lui, anche noi non dobbiamo escludere l’altro o al contrario imprigionarlo nella nostra vita, ma essere sempre aperti, disponibili e discreti. Quello che in psicologia si chiama «relazioni sane».
E allora ecco che possiamo ritornare alla domanda personale di Gesù: «Chi sono io per te?»
“Signore, Tu per me sei l’Amore eterno. Sei quell’amico che, nonostante le mie ostinazioni, ancora mi vuoi bene e stai lì ad aspettare, senza forzare le mie scelte. Aiutami ad essere come Te, capace di avere sempre il cuore aperto all’accoglienza e al dono, ma soprattutto donami l’umiltà e la pazienza di saper accogliere le scelte dell’altro nella sua libertà, nel bene e nel male. Signore, Tu sei tutto per me, perdonami e accoglimi! Amen”
Buon cammino!
sabato 19 agosto 2017
XX DOMENICA T.O. (Anno A)
XX DOMENICA T.O. (Anno A)
«è vero, Signore, - disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Carissimi amici,
la liturgia di oggi ci dà un messaggio bellissimo: la salvezza non è per pochi eletti, ma per tutti. Per essere salvati non occorre appartenere ad una certa nazionalità, ad un certo ceto sociale o ad un certo gruppo religioso. Per essere salvati occorre la fede in colui che salva.
Il brano del Vangelo di oggi è molto interessante, perché la donna che chiede la salvezza a Gesù, è una cananea, quindi appartiene ad un popolo nemico ad Israele. Anche l’esempio che fa Gesù ricalca questo odio che c’è tra i due popoli. Gesù le dice che i cani non mangiano alla tavola dei loro padroni. Questo significa che i cananei e samaritani (i cani) non possono ricevere la salvezza destinata a Israele (i padroni).
Quante volte anche noi utilizziamo lo stesso esempio nei confronti di altri esseri umani come noi. Anche nella stessa Chiesa cattolica. Quante «etichette» abbiamo messo ai nostri fratelli e sorelle in Cristo. Gesù ha utilizzato l’espressione «cane», noi siamo più raffinati, ma non meno duri. Noi parliamo di «scomunicati», per non andare oltre! Però il fine è diverso. Gesù lo fa per capire la fede della donna, noi lo facciamo per escludere.
Cosa significa che Gesù vuole capire la fede della donna? Tante volte vi ho detto che Gesù non è mago Merlino, che con un colpo di bacchetta magica, risolve tutti i nostri problemi, ma lo fa solo se gli dimostriamo una fede autentica, un cuore puro, libero da compromessi.
Ecco perché Gesù utilizza dapprima il silenzio e poi l’esempio così duro e discriminante. Ma la risposta della donna, sorprende Gesù e gli Apostoli. La risposta è così bella che ve la ripropongo di nuovo: «è vero, Signore, - disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
La donna riconosce che vive una situazione irregolare, nei confronti della Legge, ma allo stesso tempo dimostra la sua fede e speranza nella Misericordia di Dio. Questa fede nella speranza, commuove Gesù e le concede ciò che aveva chiesto.
L’esempio di Gesù non è solo discriminante, ma lancia un messaggio molto forte sulla speranza. Un cane che sta vicino alla tavola imbandita, non vive altro che la speranza. Tutta la sua attenzione è rivolta al tavolo da dove può arrivare il cibo, anche una piccola briciola, e niente e nessuno lo sposta da quella posizione.
Quando Gesù parla male della ricchezza ed esalta la povertà, lo fa proprio per questo motivo. Il ricco non si accorge di nulla, perché crede di possedere il mondo intero. Il povero, invece, fa esperienza della Provvidenza, e spera che prima o poi essa si manifesti.
Noi non ci salviamo perché siamo cristiani cattolici romani, o perché abbiamo la tessera dell’Azione Cattolica o apparteniamo a gruppi carismatici, ma perché crediamo che Gesù è Risorto dai morti per salvare l’intera umanità.
“Signore, tante volte ho giudicato le persone perché mi sono limitato a guardare la forma esterna della fede e non il cuore. Tante volte ho escluso le persone «irregolari», non pensando alla loro sofferenza. Tante volte ho messo al primo posto la Legge e non la fede e il cuore dell’uomo. Aiutami, Signore, a saper ascoltare e accogliere coloro che sono nel bisogno. Aiutami ad essere portatore di speranza e non di scomuniche. E soprattutto aiutami a credere nella speranza e nella Misericordia. Amen!
Buon cammino!
lunedì 14 agosto 2017
ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA IN CIELO
ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA IN CIELO (Solennità)
«Risplende la Regina, Signore, alla tua destra»
Carissimi amici, buona Pasqua!
Si! Oggi è la Pasqua dell’umanità. Maria, è la prima creatura ad essere risorta. Dopo la Risurrezione di Gesù, adesso tocca all’umanità, e Maria ci ha preceduto, come segno tangibile che la Risurrezione non riguarda solo Dio, ma ciascuno di noi. La Risurrezione non è un racconto, una leggenda, ma una realtà. Ciò che oggi è avvenuto a Maria, un giorno avverrà anche a noi. Oggi è la conferma che la morte non è la parola fine, ma solo un passaggio, necessario, per ottenere il Cielo, la vita senza fine. Così come dice San Paolo: «o morte dov’è la tua vittoria? Dov’è il tuo pungiglione?» (cfr 1Cor15).
Maria è colei che ci prende per mano e ci porta verso il cielo. Quasi tutti gli artisti, descrivendo questo magnifico evento, ritraggono Maria con una mano rivolta al Cielo e l’altra alla terra, quasi a simboleggiare l’anello di una catena che unisce il Cielo e la terra, Dio e l’umanità, in un abbraccio di Amore.
Questa è la solennità che sento viva nel cuore, proprio perché ha un fortissimo legame con la Pasqua. Non a caso la liturgia utilizza il capitolo 15 della prima lettera di San Paolo ai Corinzi, un capitolo tutto dedicato alla Risurrezione futura. Per dare più credibilità a questo evento che riguarda tutti noi, bisogna necessariamente sfatare un mito, il quale dice che Maria non è morta. Maria, prima di risorgere, ha dovuto passare anche lei la barriera della morte, ma poiché è Immacolata, non ha subíto la corruzione della carne, ed è subito risorta e salita in Cielo. A noi succederà la stessa cosa, con la differenza che prima di risorgere, è necessario un tempo di purificazione e soprattutto dobbiamo attendere la fine dei tempi, dove tutti risorgeremo e potremmo vedere in pienezza il volto di Cristo.
Se davvero crediamo che la sorte oggi toccata a Maria, un giorno toccherà anche a noi, allora anche noi possiamo gridare a gran voce il canto del Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore è il mio spirito esulta in Dio mio salvatore» (Lc1,46-47), perché mi ha liberato dal laccio della morte e mi ha ridonato la vita.
Chiediamo al Signore, per la potente intercessione di Maria, di aiutarci a credere nella risurrezione.
“Signore, grazie per averci dato come modello di vita, la Vergine Maria. Grazie, perché attraverso di Lei, il Cielo si è aperto anche per noi povere creature. Grazie, perché in Lei troviamo la dolcezza di una mamma che guida e protegge i suoi figli. E grazie, perché la tua risurrezione e quella della Vergine Maria, ci danno la certezza che la vita non finisce qui sulla terra, ma continua in eterno in Cielo e noi staremo insieme agli angeli ad adorare il Dio creatore di ogni cosa. A Te la lode e la gloria nei secoli eterni. Amen!”
Buona solennità dell’Assunta a tutti!
domenica 13 agosto 2017
XIX DOMENICA T.O. (Anno A)
XIX DOMENICA T.O. (Anno A)
«Signore salvami»
Carissimi amici,
chissà anche noi quante volte abbiamo fatto questa invocazione come Pietro: «Signore salvami!». L’episodio raccontato dall’Evangelista Matteo è molto bello, anche pieno di dettagli interessanti, che ci permettono di attualizzare questo brano.
Partiamo innanzitutto dalla barca con gli Apostoli. La barca può essere paragonata alla Chiesa e gli Apostoli alla comunità cristiana. Quindi quasi certamente possiamo dire che ognuno di noi si trova in questa barca. Poi c’è il mare, che rappresenta il mondo, in tutte le sue sfaccettature. Il mare calmo indica il bene che c’è nel mondo, il mare agitato indica il male che c’è nel mondo. In questo episodio, il mare non è calmo, ma agitato a causa di una tempesta. La barca non è stabile, rischia di affondare. Ad un certo punto succede qualcosa. Arriva Gesù, che non placa subito la tempesta, ma mette alla prova i passeggeri della barca, in particolare Pietro, che rappresenta tutta la comunità. Pietro inizialmente si fida di Gesù, lo raggiunge camminando sulle acque, ma poco prima di arrivare a Lui, Pietro affonda. Cosa è successo? Il testo ci dice che Pietro si è spaventato, si è scoraggiato e ha perso fiducia nel Signore e in ciò che stava facendo, ma possiamo anche pensare che Pietro, vedendo quel prodigio, si è un po' riempito di orgoglio. Ed è questo che succede anche a noi. Nella nostra vita ci sono situazioni dove, per paura, non facciamo un salto di qualità e rimaniamo rannicchiati in noi stessi e nelle nostre paure, e situazioni dove il nostro orgoglio sale in maniera spropositata. Quante volte ci siamo vantati dicendo: «ah, se non era per me! Ho fatto tutto io, da solo! Chi fa da se fa per tre». Ed ecco che quando queste due situazioni vengono estremizzate, il rischio di affondare è altissimo! A quel punto riconosciamo che da soli non è possibile fare niente e chiediamo aiuto: «Signore salvami!» Così come è successo al profeta Giona. Nel ventre del grosso pesce, dove lui non poteva fare più nulla, si apre agli altri, in particolare con il Signore. La scena bellissima, che molti artisti hanno rappresentato, è Gesù che tende la mano a Pietro per tirarlo fuori dalle onde del mare. Quello che Gesù ha fatto con Pietro, lo fa con ciascuno di noi, ogni giorno, ogni momento.
Come dico sempre, Dio non ritirerà mai la sua mano da noi, è sempre lì con il braccio teso al aspettare che noi corriamo da Lui. Il Signore non vuole altro che la nostra salvezza. Giovanni ci dice che Dio è Amore, e l’amore non vuole il male dell’altro, ma solo e soltanto il bene.
Attenzione ad un particolare interessante. Gesù non ferma la tempesta, si ferma da sola! Gesù salva l’uomo dalla tempesta. Molte volte noi vogliamo che gli eventi cambiano in nostro favore, ma prima dobbiamo essere noi a cambiare, infatti quando Pietro e gli altri cambiano atteggiamento, diventano più fiduciosi, si aprono alla speranza, la tempesta di placa. Qui trova piena realizzazione un detto molto bello: «il mondo cambia se prima cambiamo noi!».
Da soli non ci salviamo, da soli non cambieremo il mondo, da soli non realizzeremo mai niente, abbiamo bisogno sempre di qualcuno, e quel qualcuno è Gesù, che si fa presente in mezzo noi in diversi modi, innanzitutto nell’Eucaristia e nei sacramenti, ma anche nelle persone che Lui stesso ci mette accanto. Diceva sempre don Tonino Bello: «Siamo angeli con un’ala soltanto, per volare dobbiamo stare abbracciati». Ed è così! Dove le persone collaborano, lavorano insieme, dove c’è condivisione e reciprocità, si respira un clima bello, gioioso, di amore e di pace, ed è quello che Gesù vuole da noi: «amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi». Non per interesse egoistico, ma per una donazione gratuita comunitaria!
“Signore, salvami dal mio egoismo, dalla presunzione di saper far tutto e voler far tutto. Liberami dalla paura del fallimento e dallo scoraggiamento. Aiutami a comprendere che tutto è dono Tuo, e che solo in te c’è pace, gioia e salvezza. Amen!”
Buon Cammino!
sabato 22 luglio 2017
XVI DOMENICA T.O. (Anno A)
XVI DOMENICA T.O. (Anno A)
«Lasciate che l’una [la zizzania] e l’altro [il grano] crescano insieme fino alla mietitura»
Carissimi amici,
continuano gli insegnamenti di Gesù. Dopo averci detto di essere terreno buono che fa fruttificare la Parola di Dio, oggi ci dà un ulteriore insegnamento.
Essere terreno buono, non significa essere esenti da problemi, e Gesù lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi. Nella vita i problemi ci sono stati e ci saranno sempre, come le cose buone, ma Gesù ci lascia un grande messaggio di speranza. Il male non avrà l’ultima parola! La Risurrezione metterà da parte la morte; il grano nel granaio e la zizzania nel fuoco.
Quando c’è qualcuno che dice: «ah, a me va sempre tutto bene, sono la persona più felice del mondo, non mi succederà mai niente», state attenti, non diventate gelosi di queste persone. Oppure nel caso contrario, quando qualcuno dice: «ah, ormai per me non c’è più nulla da fare! Sono inutile su questa terra, non valgo nulla!». Questi due estremi sono pericolosi perché nel primo caso, quando siamo troppo sicuri di noi stessi, ci chiudiamo alla grazia dello Spirito Santo, nel secondo caso ci chiudiamo alla speranza. Gesù invece ci dice che nella nostra vita ci sono momenti buoni e momenti brutti, ma alla fine solo il bene trionferà.
Qualche giorno fa, ho portato l’esempio della rosa, per spiegare come è la vita di ciascuno di noi.
La rosa è bella, profumata, vellutata al tatto, ma ha anche le spine sullo stelo. Più ti avvicini al fiore, più le spine aumentano e sono più piccole e pungenti, ma attenzione, le due cose stanno insieme (come il grano e la zizzania), anzi, dallo stelo pungente, viene fuori il bel fiore, così come dalla Croce è venuta la Risurrezione!
Non dobbiamo aver paura dei momenti di prova, della zizzania, delle spine, che insinuano la nostra vita, ma dobbiamo essere sempre aperti all’azione dello Spirito Santo e sperare che da quello stelo pungente, uscirà una bellissima e profumatissima rosa, che saprà riportare un dolce e soave profumo alla nostra vita.
Chiediamo al Signore di aiutarci a convivere con la zizzania, a non lasciarci sopraffare da essa.
“Signore, tante volte ho chiesto di morire, pur di non peccare più, ma Tu mi hai illuminato e mi hai fatto capire che ciò che chiedevo era puro egoismo, perché, per fare un bene a me, avrei portato dolore ad altri. Per rimuovere la mia zizzania, avrei distrutto delle spighe di grano. Grazie Signore per la Tua continua presenza e grazie perché, nonostante tutto, alla fine il bene trionferà sul male. Signore, guidami e accompagnami sempre. Amen!”
Buon Cammino!
domenica 16 luglio 2017
XV DOMENICA T.O. (Anno A)
XV DOMENICA T.O. (Anno A)
«Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno»
Carissimi amici,
il Vangelo di oggi non ha bisogno di essere spiegato, perché è Gesù stesso che lo spiega ai suoi discepoli, è Gesù stesso che fa la catechesi. Quindi, riporto per intero la sua spiegazione della parabola del seminatore.
«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Mi soffermo solo su un dettaglio che è importante. Ciò che interessa a Gesù, non è tanto la quantità del raccolto, ma la qualità. Molte volte noi ci affanniamo a fare tante cose e spesso dimentichiamo la motivazione per il quale le facciamo. Gesù ci dice: «Non preoccuparti, pensa solo ad ascoltare la mia Parola e a viverla in semplicità e verità, il resto verrà da sé. A me basta anche il trenta, purché sia fatto con amore». È questa deve essere la nostra speranza che ci permette di ascoltare e vivere la Parola di Dio.
Certo, se possiamo dare cento, non dobbiamo essere pigri. Ognuno da secondo le sue possibilità. Non è un «gioco al ribasso», un invito alla mediocrità, ma vivere la realtà che siamo. È vero che dobbiamo puntare sempre al massimo, ma come dico spesso, non dobbiamo sempre guardare in alto, altrimenti non vediamo cosa abbiamo davanti a noi. Chi guarda sempre in alto, rischia di prendere un «lampione in faccia» oppure di inciampare in qualche buca. Nella vita bisogna guardare dritto e scrutare l’orizzonte che ci circonda. Solo così possiamo fare discernimento e scartare ciò che è male e scegliere ciò che è bene.
Allora, chiediamo al Signore di aiutarci ad ascoltare e vivere la sua Parola.
“Signore, aiutami ad essere terreno fertile, aiutami ad accogliere e far maturare in me la Tua Parola. Aiutami a vivere bene i Tuoi insegnamenti. Certo non posso darti il cento, ma voglio darti il massimo di me stesso. A Te affido la mia vita, il mio cammino. Tu conosci il mio cuore e ciò di cui ho bisogno. E ciò che di bene realizzo, non sia per mia gloria, ma soltanto per la gloria del Tuo nome. Amen!”
Buon cammino!