lunedì 31 dicembre 2018

SOLENNITA’ DELLA BEATA VERGINE MARIA MADRE DI DIO

SOLENNITA’ DELLA BEATA VERGINE MARIA MADRE DI DIO
“Dio mandò il suo Figlio, nato da donna”

Carissimi amici,
innanzitutto buon anno! Oggi la Chiesa ci fa riflettere sulla maternità di Maria, la prima delle tre solennità dedicate proprio a Lei (15 agosto – Assunzione, 8 dicembre – Immacolata).
L’origine di questa festa e’ molto antica. La Chiesa di Roma, già nei primi secoli, il 1 gennaio celebrava la festa di Santa Maria, ma e’ con il Concilio di Efeso del 431 che viene riconosciuto ufficialmente il titolo “Maria madre di Dio”, perché viene riconosciuto che Gesù e’ Dio, quindi automaticamente, Maria ha portato dentro di se Dio.

Ecco, allora, che Maria e’ primizia della nuova umanità. In Lei, la nuova Eva, si compie tutto il destino dell’umanità. In Maria concepita senza peccato, c’è l’umanità redenta dal Battesimo; in Maria assunta in cielo, c’è l’umanità risorta che adora il Volto di Dio; in Maria madre di Dio, c’è l’umanità che accoglie dentro di se Dio, nell’Eucaristia o nell’effusione dello Spirito Santo al momento della Cresima.

Maria e’ davvero un grande dono che Dio ci ha fatto, e celebrarla oggi, primo giorno del nuovo anno, ci deve spronare a essere portatori di Cristo, così come ha fatto Lei nei nove mesi di gestazione e negli anni della giovinezza di Gesù. Prima lo ha accolto dentro di se, poi lo ha seguito in tutte le sue scelte, compreso la Croce.

Se nel giorno di Natale abbiamo meditato come il vero presepe è l’altare dell’Eucaristia, la solennità di oggi ci ricorda che noi siamo tabernacoli viventi, dove Dio dimora. Ed ecco che il gesto di riverenza che noi facciamo davanti al tabernacolo, dovremo imparare a farlo davanti ad ogni uomo, nel quale è presente Dio. Nasce così spontaneo affermare che la vita di ogni essere umano è sacra, e va protetta e tutelata in ogni modo, e ognuno di noi può e deve assolvere questo compito così importante. In che modo? Mi ha fatto riflettere una frase che è venuta fuori durante un campo scuola quest’estate. Si parlava della preghiera e ad un certo punto, il un sacerdote disse questa frase: «è inutile pregare per la pace nel mondo, se non sono in pace con chi mi sta intorno!». Credo che questa frase, deve diventare il nostro stile di vita, se vogliamo realizzare la beatitudine di Gesù: l’essere costruttori di pace! Stare con chi ci vive intorno, ascoltare e raccontarsi, condividere, progettare e lavorare insieme. Soltanto così si vincerà l’egoismo, l’orgoglio, la presunzione, il pettegolezzo, ecc.

Il Signore, per intercessione della Beata Vergine Maria, guidi la nostra vita per vivere un 2019 nello stile del Vangelo, dell’adorazione e della carità. Amen!


Buon cammino e buon anno! 

sabato 29 dicembre 2018

I DOMENICA DI NATALE – Festa della Santa famiglia di Nazareth (Anno C)

I DOMENICA DI NATALE – Festa della Santa famiglia di Nazareth (Anno C)
«Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo».

Carissimi amici,
oggi la Chiesa celebra la Santa famiglia di Nazareth e ci invita a riflettere sul grande dono che è la famiglia.

Molti dicono che la famiglia di Nazareth non è più un modello di famiglia da proporre ai nostri giorni. Io invece sostengo il contrario è credo fermamente che la famiglia di Nazareth è il modello di ogni famiglia.
Giuseppe ama Maria, ma durante il fidanzamento avviene qualcosa di inaspettato. Maria si ritrova incinta. Attenzione, non cadiamo nel tranello: «è opera di Dio!». Giuseppe, prima che l’Angelo gli parla, ha una reazione che merita la nostra attenzione. La legge del tempo permetteva e legittimava la lapidazione in caso di tradimento, un po’ come ai giorni nostri con il divorzio: «tua moglie/tuo marito ti tradisce? Divorzia e chiedi gli alimenti!»  Giuseppe ama Maria e non vuole metterla alla berlina di tutti, ma pensa di risolvere la faccenda in segreto (cfr. Mt1,19). In un successivo momento l’Angelo dirà a Giuseppe ciò che è avvenuto realmente.
Maria, questa giovane ragazza, che pur essendo chiamata da Dio, non rinuncia a Giuseppe, non gli dice: «vattene, non sei più parte della mia vita, adesso ho un altro: Dio!», ma si affida anche a Giuseppe.
Maria e Giuseppe, sono consapevoli che quel figlio non è frutto della loro unione, del loro amore, ma lo accolgono come se fosse tale. È quel figlio che unirà Maria e Giuseppe.
Maria e Giuseppe hanno vissuto anche l’incomprensione degli altri, soprattutto in momento delicato, come quello della nascita di Gesù. Costretti a rifugiarsi in una grotta, in una stalla.

Ma cosa ci vuole insegnare oggi la famiglia di Nazareth?
Semplicemente che le difficoltà si devono risolvere insieme, infondo Maria e Giuseppe le hanno vissute tutte. Il sospetto del tradimento, un figlio che non è frutto della loro unione fisica, la precarietà nel momento più delicato, le scelte del Figlio: «non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?» Certo, ci sono situazioni davvero drammatiche dove nessuno può giudicare, ma prima di arrivare all’estremo, è possibile fare qualcosa?
I problemi della famiglia non si possono elencare e risolvere in questa pagina, ma è interessante e fruttuoso interrogarsi sul tema della famiglia, ecco perché è importante il fidanzamento, la formazione pre-matrimoniale.

Vi lascio alcune domande che forse, possono essere utili.
Perché mi sono fidanzato/sposato?
Perché ho scelto tra milioni di uomini/donne proprio lui/lei?
Nella vita familiare ci sono molte prove, molti ostacoli, come li superiamo?


“Signore, ti ringrazio per l’immenso dono della mia famiglia, senza di loro adesso non starei qui a lodarti e ringraziarti. Perdonami per tutte le volte che ho arrecato delle sofferenze interiori ai miei genitori. Conservali sempre nel loro amore e nel Tuo amore. Amen!”

lunedì 24 dicembre 2018

NATALE DEL SIGNORE (Anno C)

NATALE DEL SIGNORE (Anno C)
«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, […] è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore».

Carissimi amici,
ogni anno la Chiesa ci fa contemplare il Natale attraverso il racconto dell’Evangelista Luca, carico di immagini belle e simboliche che trasmettono un messaggio di grande gioia e speranza.

Luca inizia il suo racconto descrivendo il contesto storico e sociale. I protagonisti principali, Maria e Giuseppe, sono in viaggio per adempiere ai doveri civili, come tante altre persone. Giunti a Betlemme, Maria ha iniziato ad avere le doglie del parto. Che fare? Giuseppe prova a cercare un posto dove appoggiarsi e far nascere il bambino in sicurezza, ma non trova nulla, se non un rifugio per animali. (Nel protovangelo di Giacomo leggiamo che nel momento del parto, Maria e Giuseppe si trovano nel deserto e l’unico luogo di rifugio era una grotta). Attenzione ad un particolare! Luca non spiega le motivazioni, perché non trovano alloggio, ma guardando il contesto, si possono supporre due motivi. Il primo è che effettivamente gli alloggi erano pieni, visto che anche altre persone erano giunte in quel luogo per il censimento, il secondo motivo è il parto di Maria. Il pio ebreo non poteva assistere al parto e sporcarsi con il sangue, altrimenti diventava impuro.

Un secondo aspetto molto bello, è l’annuncio ai pastori. Nella loro notte, trovano la luce, che è Gesù Cristo, ed è ancora più bello come questi pastori trovano Gesù Cristo: in una mangiatoia! Per molti studiosi, le fasce e la mangiatoia sono in riferimento al sudario e al sepolcro, ma Luca vuole condurre i pastori all’Eucaristia, ecco il senso della mangiatoia e non un letto comodo in albergo. Nell’albergo, nel palazzo c’è il Re, l’orgoglio umano, rappresentato da Erode; nella mangiatoia c’è l’Eucaristia, il Pane di vita.

Il Natale per noi, è l’incontro con l’Eucaristia. Un Dio grande e onnipotente che un tempo decise di rivestirsi di umanità, oggi riveste il Pane e il Vino dell’Eucaristia. Il vero presepe oggi è l’altare! Gesù Eucaristia adagiato sul corporale e noi come i pastori, andiamo ad adorarlo e a nutrirci di Lui. In ogni Eucaristia, avviene il grande prodigio. Gesù è vivo e presente in mezzo a noi, non possiamo non accoglierlo con tanta gioia, con tanto amore, con tanta devozione. Partecipare all’Eucaristia è rivivere non solo la passione, morte e risurrezione di Gesù, ma è rivivere la notte del Natale, una notte che ha donato al mondo il regalo più bello: il Paradiso!


Buon Natale e buona Eucaristia a tutti!

sabato 15 dicembre 2018

III DOMENICA DI AVVENTO (Anno C)

III DOMENICA DI AVVENTO (Anno C)
«Che cosa dobbiamo fare?».

Carissimi amici,
la domanda che più volte viene posta a Giovanni Battista, diventa anche la nostra domanda: «Che cosa dobbiamo fare?». Le letture e il Salmo, ci danno delle ottime risposte che possiamo semplificare così: «Rallegrati, grida di gioia, esulta e acclama con tutto il cuore!».

Guardando la realtà di ogni giorno, sembra difficile, se non impossibile, rallegrarci e gioire. Basta guardare le notizie del telegiornale o sui social, e subito si rovina la giornata. Perché allora dobbiamo rallegrarci e gioire? Dobbiamo rallegrarci e gioire perché Dio ci ha fatto un dono meraviglioso: Gesù Cristo! Un Dio potente e immortale che si riveste di umanità e muore crocifisso per noi. Ad una visione superficiale della fede, sembra una pazzia. Rallegrarci per un Dio che si umilia e muore! Facendo un discorso più profondo, capiamo come la scelta di Dio, è una scelta d’Amore. Dio ci Ama così tanto, da mettere da parte la sua onnipotenza e immortalità, per diventare uno come noi. Chi di noi farebbe una cosa simile? E sapere che un’autorità così potente come Dio, si fa mio compagno di cammino, il mio cuore è felice e la mia anima esulta.

Ma in che modo, Dio si fa vicino oggi? Giovanni Battista ci da ottime indicazioni. Noi sperimentiamo la presenza di Dio, se viviamo secondo il Vangelo, soprattutto nelle opere di Misericordia. In questi gesti evangelici, noi troviamo la forza di rallegrarci e di gioire.

Se oggi qualcuno mi chiede se sono felice, la mia risposta è si! Sono felice perché il Signore, nonostante tante prove, è stato ed è sempre al mio fianco. Sono felice del sacerdozio, sono felice della mia famiglia, sono felice delle mie comunità, sono felice del rapporto di fraternità con gli altri sacerdoti e sono ancora più felice di condividere questa mia gioia. Quando ci sono esperienze ed emozioni positive non si può tacere! Quando una donna scopre di aspettare un figlio, non riesce a trattenere la notizia per se, deve comunicarla subito. O come quando un disoccupato riceve la notizia di un lavoro, non rimane nel silenzio, la condivide subito. Così come ha fatto Maria. Saputa la notizia della sua gravidanza e di quella di Elisabetta, subito è partita ed ha intonato il cantico del Magnificat.

Oggi, davvero siamo chiamati a gioire e rallegrarci, perché anche quando tutto crolla intorno a noi, l’unico a rimanerci accanto è il Signore, ed io l’ho sperimentato e vi dico che è vero. Apriamo il nostro cuore a Lui, buttiamoci tra le sue braccia, come fanno i bambini con i genitori quando hanno fatto qualche marachella, e il calore amoroso che ci viene dato scioglie il nostro cuore e ci riporta la gioia e la pace.

“Signore, ti ringrazio per tutte le volte che nei momenti difficili sei rimasto accanto a me e hai riscaldato il cuore e la mia anima. Ti ringrazio per aver asciugato le mie lacrime e ti ringrazio perché ancora una volta mi dai la possibilità di dire a tutti che Tu sei la fonte di ogni mia gioia e della mia felicità. Amen!


Buon cammino!

sabato 1 dicembre 2018

I DOMENICA DI AVVENTO (Anno C)

I DOMENICA DI AVVENTO (Anno C)
«Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

Carissimi amici,
con questa domenica, iniziamo il nuovo anno liturgico con il tempo dell’Avvento, che ci accompagnerà fino al 24 dicembre. L’Avvento, come dice la parola stessa, è un tempo di attesa. Esso è strutturato in due momenti. Il primo momento (I-II settimana) è l’attesa escatologica, cioè si riflette e si prega sul ritorno glorioso del Signore. il secondo momento (III-IV settimana) è l’attesa messianica, cioè facciamo memoria della prima venuta del Signore, ovvero la nascita nella grotta di Betlemme.

Il Vangelo di questa prima domenica di Avvento, è molto particolare e bello. Gesù fa un discorso molto forte, quasi a voler intimorire, ma ad un certo punto ci sconvolge con una frase carica di speranza: «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Ogni giorno veniamo martellati da notizie negative di cronaca, e mettendo insieme queste brutte notizie, con questo discorso di Gesù, è facile pensare che la fine del mondo sta per arrivare, ma come abbiamo detto qualche domenica fa, la fine del mondo non la conosce nessuno!

Allora capiamo che il discorso di Gesù è indirizzato alla nostra persona, al nostro cuore ferito dalla fragilità umana. Ed ecco che Gesù viene a darci un’opportunità immensa: la liberazione! Ma liberati da cosa? Dalla tristezza dei nostri peccati, dalle crisi del nostro cuore. Quando mi capitano esperienze di persone che si sentono tristi e cariche di sensi di colpa per i propri peccati, esorto sempre a stare sereni, a sorridere, perché la Misericordia di Dio è più grande del nostro peccato. E soprattutto, se noi siamo tristi, pessimisti, ecc. facciamo contenti il diavolo, mentre se apriamo il nostro cuore a Dio con tanta fiducia e serenità, il diavolo rimane a mani vuote. Il Kyrie eleison che proclamiamo, non è penitenziale, ma è un’invocazione carica di speranza. Un desiderio bello che riempie il cuore, così come abbiamo ripetuto nel ritornello del Salmo responsoriale: «A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido».  Ed ecco che anche le parole di san Paolo, trovano la realizzazione: «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore». Perché solo quando una persona ha piena fiducia, e serenità è capace di amare nel modo più autentico e profondo.

In questo tempo di Avvento, poi, ascolteremo le parole dei profeti, che sono coloro che non annunciano sciagure, ma la liberazione dopo il momento della prova. Giovanni Battista è l’ultimo dei profeti, e ascolteremo in queste settimane un annuncio molto bello: preparate la via al Signore, prepariamo il nostro cuore al Signore.

Questo è il tempo per rialzarci dalla caduta, questo è il tempo di guardare il cielo, perché tra le stelle del cielo c’è il Signore, la stessa stella che ha guidato i Magi e che guiderà ciascuno di noi all’incontro con Gesù alla fine dei tempi.
Questo è il senso dell’Avvento, questo è vivere il Natale!
Fare l’incontro con Dio, non un Dio invisibile, ma un Dio rivestito di umanità, un Dio-uomo.

“Signore Gesù, perdonami per tutte le volte che ti ho trascurato preferendo fare altre cose, anche le più sciocche. Aiutami a rialzarmi e a fissare il cielo per scorgere il tuo Amore e la tua Misericordia. Aiutami a non perdere la speranza che un giorno tornerai. Sono consapevole di non meritare il Paradiso, ma so che il tuo Amore è più forte del mio peccato. Gesù, ho bisogno di te! Vieni presto. Amen!

sabato 20 ottobre 2018

XXIX DOMENICA T.O. (Anno B)

XXIX DOMENICA T.O. (Anno B)
«Maestro, volgiamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo»

Questa frase mi ha toccato profondamente perché molto spesso la vivo. La parola centrale è VOGLIAMO. Come se fosse un comando. Non è un desiderio, ma un avere. È bello vedere i bambini quando chiedono qualcosa ai genitori: «Papà, mamma posso fare questo? Posso andare la?». Noi grandi invece “vogliamo”, ad ogni costo, ad ogni condizione, disposti a fare tutto pur di ottenere (almeno quando chiediamo). Spesso lo faccio anche io e quante volte mi sono ritrovato con le mani vuote, quante volte Dio ha infranto le mie pretese. Spesso sento dire: «Ma perché Dio non mi ascolta?» più che dire questo, domandiamoci: «ma io come ho chiesto?». Tutto si gioca sulla modalità di porre la domanda a Dio, senza fingere di essere umili, pensando: «adesso, con il viso umile, chiedo al Signore e Lui mi esaudisce!». Illusi! La vera umiltà nasce nel cuore e soprattutto essa è silenziosa. Se noi pensiamo per un solo istante di essere umili, in quel momento abbiamo peccato di superbia. Il Signore sa tutto di noi, Lui vuole che siamo sinceri nel chiedere.

Vi racconto un episodio che mi è capitato il mese scorso.
La notte del 6 settembre, mia madre è stata ricoverata d’urgenza in ospedale per una forte emorragia interna causata da un’ulcera perforata. I medici ci avevano dato il 50% delle possibilità che mamma si salvasse. Dopo un delicatissimo intervento chirurgico, viene portata in rianimazione e lì è rimasta per 10 giorni. I medici, anche se hanno dato il massimo, avevano perso le speranze, e ogni giorno che andavamo a parlare con loro, era sempre la stessa risposta: «è stabile, ma non possiamo prevedere niente!». In quei giorni invocai il miracolo. Chiesi al Signore di svegliarla, ma non ottenni niente. Poi mi ricordai che il Signore aveva esaudito molte mie preghiere in passato e capì che avevo sbagliato modalità. Intanto mia madre dalla rianimazione, è stata portata nel reparto di chirurgia e anche qui i medici ci parlavano di condizioni critiche e lunghezza di tempi, impossibili da prevedere. La mia preghiera ormai era diventata questa: «Signore, non chiedo altro! Tu sai e conosci, fai tu ciò che è più giusto!». Dopo 40 giorni d’ospedale, i medici hanno stabilito che mia madre nei prossimi giorni potrà tornare a casa. Si, il Signore ha fatto ciò che riteneva giusto! Ha “premiato” la preghiera, non fatta di richieste, ma di affidamento: «Fai tu, mi fido di te! Nel bene e nel male».

Non è la prima volta che mi succede una cosa simile! Ogni volta che prego in questo modo, il Signore esaudisce la mia preghiera, ecco perché ogni giorno dico al Signore: «Signore, ti affido tutte le persone che pregano per me e che si affidano alla mia preghiera. Tu conosci il loro cuore e la loro situazione, fai Tu!». Questo significa che tutto dipende dal nostro cuore. Per ottenere dobbiamo abbandonare i nostri calcoli e affidarci alle braccia di Dio. Dal Signore non possiamo pretendere nulla, ci ha dato la cosa più bella ed importante che è la vita, il suo Amore e la sua Misericordia. «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno.» (Eb4,16).

“Signore, aiutami a non pretendere niente da Te, cerca di rendere il mio cuore puro dalla superbia e dall’orgoglio. Chiedo perdono per tutte le volte che ti ho sfruttato e comandato, ma soprattutto chiedo perdono per le volte che ho sfruttato gli altri. Gesù, Misericordia. Amen!”


Buon cammino!

domenica 14 ottobre 2018

XXVIII DOMENICA T.O. (Anno B)

XXVIII DOMENICA T.O. (Anno B)
«Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!».

Carissimi amici,
il Vangelo di questa domenica è molto interessante, perché ci fa riflettere su un aspetto importante che caratterizza la nostra vita: la ricchezza. Ovviamente non parliamo di ricchezza soltanto economica. Gesù non è contro la ricchezza in generale, ma contro alcuni atteggiamenti che girano intorno alla ricchezza, come viene gestita la ricchezza.

Facciamo qualche esempio. Un uomo di umili origini che ha vissuto sempre in povertà, mai un problema con nessuno, si ritrova quasi al termine della vita, un enorme capitale in denaro. Come è possibile questo? Probabilmente durante la sua vita è stato avaro con se stesso e con gli altri, non ha vissuto in pienezza la vita, perché doveva accumulare. Oppure una persona ricca di doti e qualità che rimane indifferente alla realtà che lo circonda, vivendo nel suo orgoglio ed egoismo. Ecco, Gesù a queste persone dice che così non si può entrare nel regno di Dio. Ed è facile immaginare il perché. Nel regno di Dio si entra solo se si è capaci di amare, di lasciarsi amare e questo significa condividere le proprie ricchezze, sia materiali, sia intellettuali. Chiaramente non esiste tariffa! Ognuno condivide in base alle proprie possibilità (questo lo vedremo meglio tra qualche domenica, quando si parlerà della povera vedova).

Personalmente credo in tutto questo. Perché ho vissuto e cerco di vivere questa dimensione di condivisione. Qualcuno mi dice che ho le mani bucate, che non so mettermi da parte dei soldi. In parte è vero, perché spesso arrivo a fine mese con pochi euro, ma nonostante tutto sto benissimo e non mi manca il necessario per vivere. E questo “necessario” che non mi manca, proviene dalla condivisione che gli altri fanno con me. Attenzione non è uno scambio, un baratto, come chiedeva il tale a Gesù! Perché questa condivisione avviene tra persone diverse. Questa è la logica della condivisione, dell’amore fraterno. Il tale si allontana da Gesù, perché Lui gli ha chiesto di condividere con i poveri, con gli altri.

Il messaggio del Vangelo è proprio questo: l’amore non è scambio tra pari. L’amore è condivisione, è donazione libera e nulla pretende in cambio (cf. 1Cor 13). Ed è bello che alla preoccupazione dei discepoli, Gesù risponde che se per l’uomo è impossibile salvarsi da solo, non lo è per Dio. Questo significa che nonostante la durezza del cuore umano, Dio continua ad amarci al punto da rompere il nostro cuore di pietra. Ed ecco che Pietro dice: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» e Gesù risponde che la ricompensa non la darà Lui personalmente, ma saranno gli altri a ricompensare le fatiche, proprio nella logica della condivisione.

Come al solito, Gesù non ci chiede cose che sono lontane dalle nostra capacità e possibilità. Ci dice di amare, non a parole, ma con i fatti, cioè con la nostra vita, donando ciò che Lui (attraverso gli altri) ci dà. È difficile, ma non impossibile. Provare per credere!

Signore, grazie per avermi insegnato il valore della condivisione. In questi anni ho donato tanto e allo stesso tempo ho ricevuto tantissimo e perdonami se non sempre mi viene spontaneo condividere. Converti ogni giorno il mio cuore, perché possa amare sempre più intensamente Te e le persone che mi poni accanto. Amen!”


Buon cammino!

domenica 7 ottobre 2018

XXVII DOMENICA T.O. (Anno B)


XXVII DOMENICA T.O. (Anno B)
«Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola».

Carissimi amici,
il Vangelo di questa domenica ci fa riflettere sul valore del matrimonio e dell’Amore. Da un lato abbiamo i farisei che vogliono legittimare il divorzio, parlando di divisione, dall’altra parte, invece abbiamo Gesù che parla di unione, anzi di fusione. Nella storia dell’umanità, sappiamo chi divide: il diavolo. Ovviamente questo discorso di Gesù va capito bene! Se una coppia rischia di distruggersi a vicenda in maniera grave, chiaramente le cose sono diverse, ma questo è un altro argomento!

Ciò che mi preme sottolineare oggi, è il messaggio di fondo del Vangelo. Gesù parla di indissolubilità del matrimonio, ma c’è un altro sacramento indissolubile che lega per sempre due realtà: il battesimo! Con il battesimo, noi ci leghiamo in maniera indissolubile al Signore, in particolare alla morte e risurrezione di Gesù. E il diavolo, ogni giorno vuole farci separare da Dio!

Come è possibile diventare una sola carne con Cristo? Attraverso l’Eucaristia. Non solo quella ricevuta, ma anche quella donata, cioè la nostra vita. Vivere l’Eucaristia, farsi Eucaristia, è l’unico modo di essere una carne sola in Cristo. Così come diceva san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). E se noi viviamo questo stile di vita (con tutte le difficoltà umane!), ecco allora che anche il matrimonio diventa indissolubile. E come sarebbe bello se ogni giorno il marito dicesse alla moglie e viceversa: «questo è il mio corpo che è dato per te!». E allo stesso modo i genitori nei confronti dei figli. Non è romanticismo, è Vangelo! Quel corpo donato, è la vita consegnata nelle mani dell’altro, fino al gesto più estremo e profondo: morire per l’altro che poi diventa un vivere per l’altro!

Donare la propria vita, è sempre doloroso, perché bisogna fare spazio all’altro nel nostro cuore, e accoglierlo così com’è. Certamente gli spigoli vanno smussati, altrimenti non si riesce a vivere bene insieme, ma donare la propria vita è anche gioia, perché ti permette di vivere una relazione vera e profonda con l’altro, e questo vale in tutte le realtà: famiglia, scuola, lavoro, Chiesa, ecc.

Chiediamo al Signore di aiutarci a vivere queste relazioni in maniera autentica.

“Signore, grazie per la tua fedeltà nei miei confronti. Aiutami ad essere una sola carne con te, per poter vivere in maniera profonda le relazioni con gli altri e perdonami per quelle volte che mi sono allontanato da te e dai miei fratelli. Amen!”

Buon cammino!

sabato 29 settembre 2018

XXVI DOMENICA T.O. (Anno B)

XXVI DOMENICA T.O. (Anno B)
«Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e gettato nel mare»

Carissimi amici,
È una frase molto dura di Gesù, ma cosa vuole dire? Il bene lo devono fare tutti, ma ad una condizione: Non scandalizzare i piccoli credenti. C’è un famoso detto che dice: “Fai quello che il prete dice, non fare quello che il prete fa”. È una frase molto dura, ma vera! Questo succede quando la teoria non viene messa in pratica. Questo avviene in tutte le realtà: dal prete al padre di famiglia, dal politico al lavoratore, dal giovane al vecchio, ecc. In altri termini, la coerenza tra ciò che diciamo e ciò che viviamo. Gesù ci chiede di essere autentici e veri.

Poi Gesù parla di tre parti del corpo: le mani, i piedi e gli occhi.
È molto interessante perché la carità esige mani che accolgono, piedi che accompagnano e occhi che vedono. Le mani che giudicano, che picchiano, i piedi che calpestano la dignità e occhi chiusi davanti alle necessità della vita, sono di scandalo e  queste parti del corpo vanno tagliate per evitare di scandalizzare e «bruciare nella Geèna».

Ovviamente nasce la domanda su cosa fare. Imparare ad avere sempre le mani tese verso l’altro, anche se non possiamo dare nulla, una stretta di mano non va negata a nessuno. Imparare a fare qualche passo insieme con l’altro e scambiarsi un breve saluto. Imparare a guardare il volto degli altri e la realtà che ci circonda.

Dalla frase dura e violenta di Gesù, siamo arrivati a capire che il bene lo si fa con questi piccoli gesti, che sono mani che incontrano, piedi che camminano e occhi che vedono. Il contrario porta allo scandalo! Sta a noi decidere come utilizzare il nostro corpo!

Ricordiamoci che Gesù non ci chiede chissà quali grandi cose da fare, superiori alle nostre forze. Ci chiede di compiere piccoli gesti di carità e di essere fedeli e coerenti a questi gesti, nulla di più. E poi non dimentichiamo che se la stanchezza e la debolezza umana ci portano a cedere, Lui è sempre pronto a rigenerarci con la sua Misericordia.


“Signore, molte volte ho dato scandalo! Molte volte ho tenuto le mani in tasca, molte volte ho puntato il dito per giudicare. Spesso ho preferito camminare da solo e spesso ho girato la faccia davanti alla realtà sofferente! Agli occhi del mondo sembrano peccati veniali, ma molto spesso ne sento il senso di colpa, il peso di aver giudicato, di essere stato da solo, di essere stato indifferente alle necessità. Mi affido alla tua infinita misericordia! Si, oh Signore, ho sbagliato, forse capiterà di nuovo ma so che Tu non guardi ai miei errori, ma valuti la forza e il coraggio che utilizzo per rialzarmi dalla caduta. Donami mani che incontrano, piedi che camminano e occhi che vedono. Tutto questo non per mettere in mostra il mio IO, ma per testimoniare che il cristianesimo è soprattutto questo: la gioia dell’incontro con l’altro. Amen!”

domenica 16 settembre 2018

XXIV DOMENICA T.O. (Anno B)

XXIV DOMENICA T.O. (Anno B)
«Ma voi, chi dite che io sia?»

Carissimi amici,
il Vangelo di questa domenica, ci presenta la grande professione di fede dell’Apostolo Pietro. Tutto inizia con una domanda di Gesù: «La gente, chi dice che io sia?» una domanda rivolta a ciascuno di noi, che potremmo attualizzare così: «Per coloro che sono in strada, al lavoro, a scuola, nei bar, ecc. chi è Gesù?». Le risposte che danno i discepoli sono varie, così come le daremmo anche noi. Però poi Gesù entra in dettaglio e chiede: «ma voi, chi dite che io sia?». E qui Piero si fa portavoce del piccolo gruppo e dice: «Tu sei il Cristo». Quest’ultima domanda è rivolta a noi personalmente. A Gesù non importa cosa pensa la gente di Lui, a Gesù interessa cosa penso io di Lui, cosa Gesù rappresenta nella mia vita.

La risposta che dà Pietro è vera, ma lui non conosce il suo vero significato, infatti all’annuncio della Passione e della Risurrezione, Pietro rimprovera Gesù. Ecco perché Gesù subito lo fa scendere dalla colonna di gloria che si era creato dopo questa grande professione di fede, e gli dice: «Va’ dietro a me Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». La fede di Pietro ancora non è matura, lo sarà quando, secondo la leggenda, fuggendo da Roma, incontra Gesù che va verso Roma! Il famoso «Quo vadis,Domine». Tra i due momenti sono passati tantissimi anni. La fede non è questione di tempo, ma di cuore! E qui faccio un collegamento con la seconda lettura. L’Apostolo Giacomo ci dice che la fede va dimostrata con le opere, con la vita, a parole siamo bravissimi! Conosco persone che parlerebbero per ore di Gesù, della fede, ma quando poi si arriva alla concretezza, tutti noi crolliamo!

Chi mi conosce, sa che io non utilizzo espressioni di elevata cultura teologica. Potrei farlo perché ho tutti gli strumenti, ma preferisco condividere la mia esperienza di fede, ciò che Gesù Cristo ha fatto e fa per me, (ovviamente alla luce del Vangelo!) perché è a me che Gesù chiede: «Chi sono io per te?» ed io con il mio cuore e la mia vita devo rispondere. Non posso rispondere con le parole degli altri, magari citando qualche bravo teologo, così faccio bella figura! Ma allora come fare? Come ci ha suggerito il Papa nell’Esortazione Apostolica «Gaudete et exsultate». Vivere le beatitudini e le opere di misericordia nelle piccole e grandi scelte quotidiane. E allora ecco che possiamo ritornare alla domanda personale di Gesù: «Chi sono io per te?»

Abbiamo la domanda di Gesù, abbiamo gli strumenti necessari, possiamo rispondergli, ricordando l’ammonimento di san Francesco: «Annunciate il Vangelo e, se è necessario, anche con le parole!»

“Signore, Tu per me sei l’Amore eterno. Sei quell’amico che, nonostante le mie ostinazioni, ancora mi vuoi bene e stai lì ad aspettare, senza forzare le mie scelte. Aiutami ad essere come Te, capace di avere sempre il cuore aperto all’accoglienza e al dono, ma soprattutto donami l’umiltà e la pazienza di saper accogliere le scelte dell’altro nella sua libertà, nel bene e nel male. Signore, Tu sei tutto per me, perdonami e accoglimi! Amen”

Buon cammino!



domenica 9 settembre 2018

XXIII DOMENICA T.O. (Anno B)

XXIII DOMENICA T.O. (Anno B)
«Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e parlare i muti»

Carissimi amici,
il Vangelo di questa domenica è molto interessante, perché attraverso la guarigione di un sordo, Gesù ci vuole dire che la fede non sono parole, ma testimonianza concreta.

In passato (qualcuno lo crede ancora oggi!) si credeva che se una persona era sorda, la stessa “malattia” colpiva le corde vocali e viceversa. Noto è il brano di Zaccaria che era muto e le persone intorno, «domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse» (Lc 1,62). Zaccaria era muto, non sordo! Con il tempo, finalmente, si è capito che la sordità e il mutismo sono realtà diverse da loro, anche se il mutismo è una conseguenza oggettiva della sordità. Io parlo, perché ascolto! Questa è la conclusione: so dire e leggere il mio nome, perché ho ascoltato la parola e la fonetica delle lettere.

Portiamo tutto questo discorso a livello di fede. Per testimoniare la fede, è necessario fare esperienza di Cristo. Se non «ascolto» la Parola di Dio, come posso annunciarla? Ma attenzione! È vero che il mutismo è conseguenza della sordità, ma ci sono dei sordi che parlano. Come è possibile? Semplice! Attraverso il labiale, la logopedia. In pratica la vista e il tatto sono fondamentali. Anche qui il passaggio al discorso di fede. Se io, non avendo avuto esperienza diretta della Parola di Dio perché sono stato sordo nei suoi confronti, una persona può farmi fare questa esperienza di fede. Come? Con la sua testimonianza concreta di vita. Ciò che il Papa chiama «fede per attrazione». Io vedendo il tuo stile di vita, capisco il significato del Vangelo.
Ecco allora la conclusione bella del Vangelo di oggi. Ha fatto bene ogni cosa: fa udire la sua Parola e attraverso la testimonianza concreta, fa parlare chi ancora non l’ha ascoltata.

Fede e testimonianza sono indivisibili. Non può esistere la fede senza testimonianza e non può esistere testimonianza senza fede. Dio per comunicare sé stesso, si è dovuto manifestare all’umanità «sorda» e l’umanità, attraverso questa testimonianza ha imparato ad ascoltare e a diffonderla.

Chiediamo al Signore di farci ascoltare la sua Parola e di essere testimoni del Suo Amore per coloro che riescono a sentire questo richiamo d’Amore.

“Signore Gesù, tante volte sono stato sordo nei confronti della Tua Parola. Grazie perché in questa mia sordità, mi hai trasmesso il Tuo Amore attraverso delle persone che lo hanno vissuto e lo vivono nella loro vita, permettendomi di fare questa esperienza di Amore e Misericordia. Aiuta anche me ad essere testimone della Tua Parola per aiutare le persone che sono lontane dalla fede. Per Cristo nostro Signore. Amen!”

Buon cammino!


domenica 2 settembre 2018

XXII DOMENICA T.O. (Anno B)

XXII DOMENICA T.O. (Anno B)
«Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi padri?»

Carissimi amici,
Dopo aver meditato per quattro domeniche sul vero significato dell’Eucaristia, riprendiamo il nostro cammino con il Vangelo di Marco.

Oggi il Vangelo ci vuole far riflettere sulla concretezza della nostra fede, e lo fa toccando un argomento molto caro a noi cristiani: le tradizioni, le devozioni.
Sappiamo che le tradizioni e le devozioni, sono atti esteriori che dovrebbero dimostrare la nostra fede in Dio, ma in realtà non è sempre così. Più che dimostrare la fede in Dio, dimostrano la fede agli atti esteriori in sé. Ad esempio. Se chiediamo perché facciamo una novena, la risposta sarà: «Perché si è sempre fatta!». Difficilmente troveremo delle risposte del tipo: «Perché è un tempo di preghiera e riflessione che aiuta a vivere più da cristiani!». E molto spesso si attua un antico proverbio: «Fatta la festa, gabbato lo Santo», perché tutti presenti nel giorno di festa, ma il giorno dopo tutto finito! Questo però non avviene solo a livello di devozione. Anche tra amici succede la stessa cosa. Un amico si sposa, tutti a festeggiare, dal giorno dopo quasi ci si dimentica.

Gesù ci richiama perché questo modo di fare non va bene. La fede è fiducia e anche fedeltà. Ed essere fedeli significa essere coerenti, mantenere un impegno preso. Se siamo devoti a sant’Antonio e partecipiamo alla novena e alla processione, dobbiamo anche impegnarci (con tutta la nostra umanità) a vivere come ha vissuto sant’Antonio, cioè vivere il Vangelo, altrimenti non ha senso fare novene e processioni. È una perdita di tempo ed è una presa in giro a Dio! Sorge spontanea una domanda: Come si vive il Vangelo? Una risposta molto bella e concreta la da il Papa nell’esortazione apostolica “Gaudete et Exsultate” al capitolo terzo. In questo capitolo, il Papa ci spiega in maniera molto semplice e concreta come vivere le beatitudini e le opere di misericordia. Personalmente ho meditato questo capitolo durante una novena, proprio per dire che la santità non è poi così impossibile da raggiungere e che la novena non è un semplice susseguirsi di azioni liturgiche, ma un tempo di riflessione e crescita spirituale.

Ecco allora che se noi utilizziamo le novene come un tempo di riflessione e crescita spirituale, anche la nostra quotidianità acquista tutto un altro stile, che è lo stile del Vangelo. Ridiamo un valore serio e profondo alle nostre tradizioni, affinché non siano più atti ipocriti, ma momenti di formazione e rigenerazione spirituale.

“Signore, aiutami a vivere ciò che prego, dammi il sano discernimento per tenere ciò che è utile per la fede e rimuovere ciò che è di ostacolo alla fede, così come fa il contadino con la vite e i tralci e perdona tutte quelle volte che ho pregato per “abitudine”, dimenticando che la preghiera è la forma più alta di dialogo con Te che sei la via, la verità e la vita. Amen!”


Buon cammino!

sabato 18 agosto 2018

XX DOMENICA T.O. (Anno B)

XX DOMENICA T.O. (Anno B)
«Come può costui darci la sua carne da mangiare?»

Carissimi amici,
la domanda posta dai giudei è molto interessante, perché Gesù dice che il pane che ci darà è la sua carne. San Tommaso d’Aquino, nel 1264, scrisse un inno eucaristico molto bello e profondo: Adoro te devote. La sesta strofa di questo inno inizia con queste parole: «Pie pellicane, Jesu Domine». Gesù viene identificato al pellicano, perché esso, secondo un’antica leggenda, si squarciava il petto con il becco per nutrire i suoi piccoli nel nido. Al di la delle antiche leggende, c’è un dato di fatto: l’Eucaristia è veramente la carne di Gesù! Non si tratta solo di racconti biblici o di dogmi teologici, ma di segni che dimostrano realmente che quel pane consacrato non è altro che il corpo di Gesù. I vari miracoli eucaristici, studiati da esperti, hanno dimostrato proprio questa verità di fede, e questo conferma la veridicità del Vangelo e delle parole di Gesù.

Gesù insite sulla differenza tra la manna del deserto e l’Eucaristia. La manna del deserto è quando noi prendiamo del superfluo e lo condividiamo. L’Eucaristia è quando ci priviamo di qualcosa che magari a noi serve per donarlo. Prendiamo come esempio il famoso gesto di San Martino, il quale condivide con un povero il suo mantello. Ci sono due scelte per aiutare il povero. La prima è comprare un mantello e donarlo, la seconda è dividere l’unico mantello e donarlo. Ecco l’Eucaristia è la seconda scelta. Situazioni come queste, ci capitano ogni giorno e la domanda che sorge spontanea è: ma agisco secondo la manna del deserto o secondo l’Eucaristia? Ovviamente entrambe le scelte sono positive, ma la scelta eucaristica è quella più vera, perché mette in gioco la nostra vita. Tante volte mi sono trovato in questa situazione, dover scegliere tra la manna e l’Eucaristia! Devo dire che scegliendo l’Eucaristia, ho trovato la serenità e la gioia di aver condiviso qualcosa della mia vita, della mia esistenza.

L’Eucaristia è davvero qualcosa di eccezionale. Ascoltare, pronunciare e interiorizzare le parole: dell’ultima cena, mi da tanta gioia e serenità. Dire alla persona amata: «questo è il mio corpo offerto per te» è la forma più alta e pura dell’amore, perché non c’è solo la gioia della condivisione, ma la fiducia piena. È un abbandono pieno e consapevole nella vita dell’altro.

Chiediamo al Signore di farci entrare ancora più in profondità nel mistero eucaristico, di farci fare esperienza di vera carità, di autentica donazione.

“Signore, ancora una volta mi dici che non basta condividere la manna, ma che devo condividere la mia vita, la mia esistenza. Aiutami a fare della mia vita un dono autentico d’amore. Per Cristo nostro Signore. Amen!”


Buon cammino! 

domenica 12 agosto 2018

XIX DOMENICA T.O. (Anno B)

XIX DOMENICA T.O. (Anno B)
«Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode»

Il Salmo 33 è uno dei miei preferiti perché ogni volta che lo leggo e lo prego mi fa pensare all'Eucarestia.
L’Eucarestia non è solo il cibarsi del Pane di Vita, ma è ringraziare Dio per i suoi benefici, e il Sal.33 è un vero inno Eucaristico, cioè di ringraziamento.

Questo Salmo si collega molto bene alla pagina del Vangelo di questa domenica, dove il tema centrale è il discorso sul Pane di Vita.
Gesù ancora una volta ci dice che per ottenere la salvezza, bisogna credere in Lui, senza “ragionarci” (mormorare) troppo.
Nel Vangelo, la folla, utilizza in maniera sproporzionata la ragione, si pone tante domande su chi è Gesù, da dove viene, da chi viene, ecc. e ha difficoltà a credere.
Forse il problema è proprio la ragione, o meglio, ragioniamo troppo e chi ragiona troppo, rischia di diventare avaro.
La fede necessita sì della ragione, ma necessità anche della fiducia, cioè fidarsi degli altri, fidarsi di Dio.

Chiediamo al Signore di aiutarci a vivere in maniera semplice ed umile la nostra fede.


“Signore, aiutami a non giudicare, allontana da me la tentazione di essere migliore degli altri. Rendimi una persona capace di amare in maniera semplice ed intelligente e perdonami quando ragiono troppo e non mi fido della tua Provvidenza. Amen!”

domenica 5 agosto 2018

XVIII DOMENICA T.O. (Anno B)


XVIII DOMENICA T.O. (Anno B)
«Signore, dacci sempre questo pane»

Carissimi amici,
anche in questa domenica siamo in compagnia del capitolo 6 del Vangelo di Giovanni che ci parla dell’Eucaristia. Domenica scorsa abbiamo visto il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, mettendo in risalto due posizioni: il pessimismo da una parte (non abbiamo denaro sufficiente) e la speranza dall’altra (c’è un ragazzo con dei pani e dei pesci). La speranza è ciò che premia!

Dopo il miracolo, Gesù inizia il discorso vero e proprio sull’Eucaristia, e parte dal miracolo della manna nel deserto, dicendo che Mosé li ha nutriti con la manna del cielo, Lui ci nutrirà con il pane che discende dal cielo, in pratica con il suo stesso corpo. Ma è un discorso difficile da capire, infatti i discepoli, ingenuamente chiedono a Gesù di dare sempre questo pane che proviene dal cielo, così come era avvenuto poco prima nel miracolo. Siamo ancora ad un livello molto esperienziale e sensibile. Quante volte capita anche a noi di vivere delle esperienze spirituali molto forti e desideriamo che tali esperienze non terminino mai. Vivere il cammino di fede è un qualcosa che va oltre le singole esperienze spirituali. La fede che diventa uno stile di vita, ma a questo ci arriveremo passo dopo passo nelle prossime domeniche, quando Gesù continua il suo discorso eucaristico.

Oggi mi vorrei soffermare su questa «fame» che hanno i discepoli di Gesù. Non è una fame fisica, ma bensì spirituale, sentimentale. I discepoli, e anche noi, sentiamo la necessità di restare uniti a un qualcosa, o meglio a qualcuno che ci garantisce amore e protezione. E questo qualcuno non è un essere umano come noi, ma è Dio. Perché solo Dio è capace di donare un amore vero e profondo, noi siamo solo degli imitatori imperfetti di questo amore. Ecco perché credo con assoluta certezza che l’ateismo non esiste. Esistono coloro che vanno contro Dio, ma non quelli senza Dio. (Questo è un concetto filosofico che sostanzialmente dice che il fatto di negarlo, si afferma la sua esistenza!). Tornado al discorso, nasce spontanea la domanda: come colmare la nostra fame di Dio? Sembra scontato, ma la risposta è proprio l’Eucaristia, in tutte le sue sfaccettature. Eucaristia come sacramento ricevuto. Eucaristia come sacramento adorato. Eucaristia come corpo donato. Ricevere l’Eucaristia, pregare l’Eucaristia, farsi Eucaristia! Solo così riusciremo a placare la nostra fame di Dio.

Allora, anche noi, come i discepoli, chiediamo al Signore di darci questo «Pane», di farci adorare questo «Pane», di fare della nostra esistenza il «Pane di vita» donato agli altri.

“Signore, anche io oggi sento questa fame. Nutrimi di te, oh Signore! Non lasciare che la mia anima e la mia vita rimangano a digiuno. E perdonami, Signore, per tutte quelle volte che sono scappato dalla tua tavola senza nutrirmi di Te. Amen!”

La fame c’è, l’Eucaristia pure, e allora? Adesso tocca a noi!
Buon cammino, o meglio, buon appetito!

sabato 28 luglio 2018

XVII DOMENICA T.O. (Anno B)

XVII DOMENICA T.O. (Anno B)
«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?»

Il contesto in cui si colloca questa frase è molto semplice. Abbiamo una grande folla che ascolta Gesù, ma questa folla inizia ad avere fame e Gesù chiede ai discepoli: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?»
Ci sono due riposte molto interessanti:
1)      Duecento denari di pane non sono sufficienti;
2)      C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci.
La prima risposta va contro ogni speranza: “NON SONO SUFFICIENTI”, la seconda risposta tralascia un senso di speranza: “C’È QUI”.
Gesù agisce dove c’è la speranza!

È la speranza che permette di fare grandi cose.
Chi non spera è un uomo finito, statico, non si aspetta più nulla dalla vita, è negativo e depresso. Chi invece spera è un uomo che vuole vivere perché attende che qualcosa di nuovo, di diverso accade nella sua vita. Il Papa ci invita sempre a non perdere la speranza, a non farci rubare la speranza.

Credo che i “piccoli” vivono di più la speranza.
Chi soffre spera nella guarigione, spera in una vita migliore;
Chi oggi è povero, spera che domani possa mangiare;
Chi oggi è triste, spera che domani torni la gioia;
Chi oggi è solo, spera che domani trovi un amico.

Io credo nella speranza. Ho visto e conosciuto tante persone che hannotrasformato una maledizione in una benedizione.
Ciò che dico l’ho sperimentato anche io. Cinque anni fa non ero ciò che sono ora. Da quando mi sono messo nelle mani di Dio, la mia vita è cambiata!
Quale è il segreto? Fidarsi di Dio, affidarsi a Dio.
Bisogna imparare a riconoscere che da soli non possiamo fare niente.
Anche se quello che noi siamo, che noi abbiamo è poco, dobbiamo offrirlo lo stesso al Signore e agli altri. Questo è un segno di grande speranza e umiltà!


“Signore, Tu conosci le mie potenzialità e i miei limiti, lavoriamo insieme! Aiutami a non perdere mai la speranza di dire: «Eccomi qui! Ci sono!» Sostienimi nel momento della prova, allontana da me l’egoismo e la superbia. Accetta la mia vita per quello che è, e trasformala in un dono prezioso da condividere, non per mia vanità, ma per il Tuo nome glorioso. Amen!”