giovedì 26 aprile 2018

V DOMENICA DI PASQUA (Anno B)


V DOMENICA DI PASQUA (Anno B)
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore».

Carissimi amici,
dopo aver parlato della figura del «buon pastore», Gesù fa un’altra similitudine. Oggi ci parla della necessità di rimanere uniti a Lui, e lo fa portando l’esempio della vigna.

Le parole sulle quali mi soffermo sono: tagliare e potare.
In greco questi due termini provengono dal verbo αιρω che significa portare via. Nel primo caso è utilizzato al presente, nel secondo caso il verbo ha una forma composta καθαιρει (καθ + αιρει) che letteralmente significa come + portare via.

Chi lavora la campagna sa la differenza tra portare via (sradicare) e come portare via (potare). Quel “come” indica un criterio da osservare per fare qualcosa.

Gesù è chiaro! Se il tralcio non è buono, si deve eliminare, ma se è buono, bisogna curarlo con particolare attenzione, in modo che esso porti frutto.
In termini che ci riguardano. Se noi dimentichiamo il Signore, se non vogliamo più far parte della sua vita, ci “taglia” (ad onor del vero ci tagliamo da soli!). Se invece nel nostro cuore c’è il desiderio di stare con il Signore, Lui ci aiuta a crescere e ci dice “come tagliare via” le cose inutili per portare più frutto. La perfezione, nella creazione non esiste, quindi nemmeno nell’uomo. E se ogni anno il contadino deve fare questo lavoro di potatura alle piante, figuriamoci come questo lavoro dobbiamo farlo anche con noi stessi. Come? Cercando di individuare tutti i nostri idoli o le nostre fissazioni che abbiamo e cercare di rimuoverle.

Seguire il Signore non è così scontato, non basta dire: «ho visto un miracolo, sono convertito!». Gesù utilizza l’esempio della vigna proprio perché sa che la fede è qualcosa di delicato, che ha bisogno di cure particolari e costanti nel tempo. Un contadino che non cura la sua vigna, il suo orto, non avrà buon raccolto. Così anche la nostra fede.
Se non curiamo la nostra anima con il Sacramento della Riconciliazione, con l’Eucarestia, con la sua Parola e con il dialogo diretto con Lui, la nostra anima si appassirà, fino a seccarsi. Non voglio intimorire nessuno, ma un’anima appassita, vuota, spenta, fa la fine delle piante secche! Non occorre fare tante cose eclatanti, basta la piccola cura quotidiana.

Questo è in fondo il messaggio del Vangelo di questa domenica, rimanere legati a Lui, al nostro amante, allo stesso modo nel quale un marito rimane legato a sua moglie e cura questo legame d’amore così bello.
Se ci pensiamo bene, questo ragionamento vale per tutte le realtà della nostra vita. Gesù fa l’esempio della vigna, ma noi possiamo parlare della famiglia, del lavoro, della scuola, di tutto! In ogni singola realtà, noi siamo a chiamati a coltivare e custodire questi rapporti. Se io curo bene la mia famiglia, il mio lavoro, ecc. e affido tutto al Signore, posso dire di aver messo in pratica il Vangelo di oggi.

Affidiamo al Signore il nostro essere «agricoltori» e chiediamogli di aiutarci a saper portare via ciò che soffoca i nostri rapporti con il Lui e con gli altri.

“Signore, dimmi come portare via le cose inutili dalla mia vita. Aiutami a vivere in maniera più profonda i sacramenti e perdonami se qualche volta il frutto che ti ho offerto era poco. Aiutami Signore a offrirti sempre la primizia della mia vita, non per mia gloria, ma per il Tuo nome, perché Tu sei il Signore, in Vivente in eterno. Amen!”

Buon cammino!

giovedì 19 aprile 2018

IV DOMENICA DI PASQUA (Anno B)


IV DOMENICA DI PASQUA (Anno B)
«E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche a quelle devo guidare».

Carissimi amici,
da tanti anni, questa domenica è dedicata alle vocazioni sacerdotali e religiose, e il brano del Vangelo di questa IV domenica di Pasqua, ci fa riflettere proprio sulla figura del pastore, chiamato a curare e proteggere il gregge.

La frase sulla quale mi sono soffermato è molto interessante, soprattutto per motivi pastorali. Sappiamo che Dio non è Padre solo di coloro che sono nel recinto della fede cristiana, ma è Padre di tutta l’umanità. Il Papa non ha la responsabilità solo sui cattolici, ma è chiamato ad occuparsi di tutti gli uomini. Un vescovo non deve guidare solo i sacerdoti e i fedeli della propria diocesi, ma deve occuparsi di tutti. Un parroco non deve operare solo nei confini della propria parrocchia, ma deve aiutare anche il confratello accanto. È proprio su quest’ultimo aspetto, vorrei soffermarmi un po’.

Capita molto spesso di sentire di parroci che reclamano il proprio territorio in maniera quasi ossessiva, e altri che, non solo non curano il proprio gregge, ma portano scompiglio anche nel gregge di altri pastori. Queste due realtà, non sono una bella testimonianza! Nasce spontanea la domanda: Come fare? Credo che un primo passo da compiere è il dialogo tra i pastori. Non un dialogo di cortesia, ma un dialogo pastorale: «Caro fratello, ho questa situazione, come la possiamo risolvere? È venuta questa persona della tua parrocchia, che succede?» Ecco. Già se inizia questo dialogo, metà dell’opera è fatta, perché le problematiche si risolvono insieme. Questi dissensi, si verificano soprattutto quando di mezzo ci sono i sacramenti e il catechismo. E a questo punto non necessita solo il dialogo, ma anche il rispetto delle disposizioni del vescovo e della Chiesa. Ad esempio. Se un parroco, insieme ai catechisti, hanno deciso che un ragazzo non può ricevere un sacramento, per un motivo valido (la non frequenza del catechismo e delle principali celebrazioni liturgiche), il parroco del paese vicino, non può fare il «buonista», ma, per rispetto dell’altra comunità, oltre che del confratello, è tenuto a chiedere spiegazioni, e accettare la decisione del parroco e dei catechisti. Se invece i motivi sono futili, anche qui, un confronto con il confratello può aiutare a rivedere la decisione presa, e cercare una soluzione insieme. Questo significa occuparsi del gregge che proviene da un altro recinto! Questo significa vivere le cosiddette «unità pastorali», dove non esiste il mio o il tuo, ma il nostro! Questa è la mia esperienza pastorale che sto vivendo in tre parrocchie con tre figure davvero belle, due sacerdoti e un diacono. La bellezza sta proprio nel dialogo, nel rispetto reciproco, nella vicinanza sia spirituale, sia pastorale. Anche se in luoghi diversi, in paesi diversi, come direbbe san Luca, viviamo con un cuor solo ed un’anima sola (Cf At 4,32). Questa bella testimonianza di vita sacerdotale e pastorale, è ben accolta dalle comunità e anche loro stanno iniziando a camminare in questo stile. Non più l’uno contro l’altro, ma l’uno per l’altro.

Vi ho parlato di questa esperienza, perché questa è una delle tante meraviglie della vita sacerdotale. Una vita consacrata a Dio, ma totalmente donata per una comunità. In questi ultimi anni, ho imparato davvero tanto, e ringrazio il Signore, per avermi fatto fare questa esperienza, che apre gli orizzonti, apre il cuore. L’essere sacerdote è davvero bello, se si entra nella dinamica della condivisione, dell’amore. Solo così il presbiterio può essere una famiglia, una casa. E un sacerdote felice rende felice tutta la comunità.

Chiediamo al Signore di illuminare tutti i sacerdoti, affinché possano scoprire la bellezza della condivisione e dello stare insieme.

“Signore, grazie per avermi chiamato a realizzare questo progetto d’amore con Te. Grazie perché mi hai fatto scoprire la bellezza della condivisione sacerdotale, dello stare insieme e del lavorare pastoralmente insieme. Ti chiedo di aiutare tutti i sacerdoti a mettere da parte il proprio io e aprirsi al dialogo pastorale con gli altri sacerdoti. Per Cristo nostro Signore. Amen!”

Buon cammino!

venerdì 13 aprile 2018

III DOMENICA DI PASQUA (Anno B)


III DOMENICA DI PASQUA (Anno B)
«Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro».

Carissimi amici,
nonostante gli undici e i due discepoli di Emmaus, ne avevano fatto esperienza, ancora non riescono a credere nella risurrezione. Gesù, ancora una volta, si presenta in mezzo a loro e condivide con loro il pane. Ancora una volta è l’Eucaristia, che ci permette di riconoscere il risorto. Ma non è solo l’atto del ricevere l’Eucaristia, è tutto il suo insieme. Gli apostoli erano riuniti insieme, e sempre insieme discutevano e condividevano le loro esperienze precedenti che avevano avuto con il risorto. È in questo contesto, che si inserisce l’Eucaristia, il pane spezzato e condiviso con la comunità. La domenica è il giorno propizio, per ritrovarsi come comunità per parlare e condividere l’esperienza di fede che è illuminata dalla Parola di Dio e alimentata dall’Eucaristia.

Forse, quello che manca oggi, è proprio il ritrovarsi insieme. È triste vedere le chiese quasi vuote, oppure piene solo in alcune rarissime circostanze. Il vivere una liturgia essenziale, ma ben curata, capace di trasmettere la bellezza e la dolcezza dell’Amore di Dio, certamente può aiutare a ritrovare questo contatto intimo con il Signore e con la comunità. Una celebrazione diventa pesante quando non c’è coinvolgimento, quando chi è seduto nei banchi è uno spettatore passivo e l’unica cosa che gli riesce di fare e guardare l’orologio e sbuffare. Eppure non dovrebbe essere così. L’incontro con il Signore, deve essere un momento bello, coinvolgente. Come quando andiamo a trovare un amico e rimaniamo con lui delle ore, chiacchierando e condividendo le esperienze che sono state fatte. Ecco, il ritrovarsi la domenica come comunità, deve essere così. Incontrarsi, salutarsi, raccontarsi, per poi mettere tutto nelle mani di Dio nell’Eucaristia.

No, non è utopia quello che dico. È realizzabile! Dipende da noi, se vogliamo fare questo incontro con il risorto insieme alla comunità. A me piace tantissimo salutare le persone e scambiare una o due battute, soprattutto quando ci si ritrova per celebrare l’Eucaristia. Il giorno della mia ordinazione diaconale, non sono rimasto «ingessato» su quello che si deve o non si deve fare. Ho abbracciato i miei compagni con la semplicità e lo stile, se vogliamo, quotidiano. Creare un clima familiare, all’interno della chiesa, della comunità, è molto importante, e questo i miei parroci di pastorale, lo sanno fare molto bene. Non trasformando la chiesa e la liturgia in un circo, ma facendo vivere alla comunità un momento di incontro e di fraternità con il Signore e con la comunità stessa.

È in quell’incontro che il risorto si presenta, è in quell’incontro che il Signore si dona totalmente a noi, è in quell’incontro che la comunità sperimenta la bellezza dello stare insieme.

Chiediamo al Signore di farci fare questa esperienza di comunità orante, che si ritrova insieme per parlare, per ascoltare e per nutrirsi della Parola di Dio e dell’Eucaristia.

“Signore, grazie perché mi dai la possibilità di incontrarmi con i miei fratelli. Grazie perché mi dai l’opportunità di condividere con loro le esperienze belle e brutte della vita e della fede. Grazie perché ascoltando loro e la tua Parola, mi dai la possibilità di trovare le risposte ai miei dubbi e alle mie incertezze, e grazie, perché nell’Eucaristia, mi fai sperimentare la forza redentrice della Pasqua. Amen!”

Buon cammino!

sabato 7 aprile 2018

II DOMENICA DI PASQUA (Anno B)

II DOMENICA DI PASQUA (Anno B)
«Mio Signore e mio Dio!»

Carissimi amici,
il tempo di Pasqua, non poteva iniziare meglio di così, con l’incredulità di Tommaso. Per noi è scontato credere alla risurrezione, ma se andiamo ad approfondire, scopriamo che non è così scontato. Partiamo da una domanda diretta: ma io ci credo alla risurrezione? D'altronde è questa la questione posta a Tommaso dagli altri Apostoli. La risposta di Tommaso è chiara e decisa: «assolutamente no! L’ho visto morire in un modo così atroce, come potete dire che è vivo?» Effettivamente, anche noi pensiamo la stessa cosa, soprattutto quando un dolore simile ci tocca personalmente. Al momento di un funerale, ci pensiamo alla risurrezione? Certamente non bisogna banalizzare il momento della morte. Il distacco da una persona cara è sempre doloroso, nessuno vuole negarlo! Anche quando un figlio parte di casa per motivi di studio o di lavoro c’è una sofferenza da entrambe le parti. Ecco, il dolore del distacco, è legittimo, quello della disperazione no! La morte non è la parola fine. È solo una sosta temporanea, in attesa della risurrezione.

Tommaso non crede, perché nel suo cuore c’è la convinzione che dopo la morte non c’è più niente, che la morte è la fine di tutto. Ma visto che gli Apostoli, non sono riusciti a convincerlo, ci pensa Gesù stesso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo ma credente!». C’è il dipinto di Caravaggio che mostra un Tommaso davvero scioccato, mentre mette il dito nel costato di Gesù risorto. Una sensazione così assurda, tanto da esclamare: «mio Signore e mio Dio!». In effetti, la risurrezione è l’assurdo per eccellenza, la morte che diventa attesa di una nuova vita. Se andiamo a ben vedere, il chicco di grano, per germogliare, deve morire, e da quella morte nasce una nuova spiga. Così anche lo spermatozoo deve, in un certo senso, morire nell’ovulo per poter generare una nuova vita.

Ciò che sto per dire è davvero forte e scioccante, ma è la realtà! Con la risurrezione di Gesù, possiamo dire che la morte è necessaria per vivere eternamente. L’elisir di lunga vita è, paradossalmente, proprio la morte. Questa è la certezza, la risurrezione è la risposta a tutti i nostri problemi esistenziali.

Ma la nostra incredulità, non è un limite che ci ferma, Gesù prende la nostra incredulità, i nostri dubbi, la nostra fragilità e li trasfigura con la sua infinita Misericordia. È la Divina Misericordia, che ci fa sperimentare e vivere la risurrezione! È nel perdono che Tommaso riconosce il risorto. Così anche noi facciamo esperienza del risorto, proprio nel Sacramento della Riconciliazione.

E allora, chiediamo al Signore di farci fare questa esperienza pasquale, buttiamo tutta la nostra vita nel suo ardente cuore, come grani di incenso, e quel fumo denso e profumato che sale, non è altro che la sua infinità Misericordia. Una Misericordia che abbraccia tutto e tutti!

“Signore, oggi metto la mia vita nelle tua mani. A te affido tutto ciò che sono. Trasforma le mie ferite in feritoie e rendimi, ogni giorno, testimone del tuo Amore e della tua Misericordia. Amen!”


Buon cammino!